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IL PRATO DI LAURA (12)

RISCOPRIRE IL PAPAVERO Amato dai pittori, dalle donne per la cosmesi,  dai bambini per i giochi, è il fiore dei reduci e dei poeti, un inno alla vita per il suo colore. LAURA BRATTEL   NOMI COMUNI: Papavero, rosolaccio NOME SCIENTIFICO: Papaver rhoeas NOME DIALETTALE QUILIANESE: baxadonne FAMIGLIA: Papaveraceae DESCRIZIONE DELLA SPECIE Pianta erbacea annuale […]

RISCOPRIRE IL PAPAVERO

Amato dai pittori, dalle donne per la cosmesi,  dai bambini per i giochi, è il fiore dei reduci e dei poeti, un inno alla vita per il suo colore.

LAURA BRATTEL

 

NOMI COMUNI: Papavero, rosolaccio

NOME SCIENTIFICO: Papaver rhoeas

NOME DIALETTALE QUILIANESE: baxadonne

FAMIGLIA: Papaveraceae

DESCRIZIONE DELLA SPECIE

Pianta erbacea annuale provvista di rosetta di foglie basali pennatopartite, con apice acuto e margine dentato. Anche le foglie lungo lo stelo hanno un margine profondamente inciso.

Lo stelo floreale può raggiungere un’altezza compresa tra i 20 e gli 80 cm.; stelo e foglie sono fittamente ricoperti di peli morbidi.

Il fiore solitario ha due sepali a protezione del bocciolo, che cadono al momento della fioritura. La corolla è composta da quattro petali di un colore rosso acceso, che possono essere macchiati di nero alla base. Al centro della corolla si trova l’ovario, circondato da numerosi stami neri.

I frutti sono capsule ovali e lisce, a sommità tronca, contenenti da diecimila a ventimila semi, i quali possono rimanere vitali nel terreno fino a quarant’anni dopo la loro caduta al suolo.

Tutta la pianta emette un succo lattiginoso bianco e acre.

HABITAT

Il papavero cresce ovunque in Italia, nei campi e negli incolti, lungo il bordo delle strade e nei siti ruderali; i papaveri punteggiavano con i loro colori sgargianti i campi di cereali, e ispirarono nel tempo numerosi artisti, specialmente gli impressionisti francesi (ricordiamo i quadri di Claude Monet). Si tratta di pianta tipica dell’areale mediterraneo, ma possiamo trovarla anche in località più a nord.

PROPRIETÀ OFFICINALI

Il comune papavero (Papaver rhoeas) è strettamente imparentato con il ben più pericoloso papavero da oppio (Papaver somniferum), da cui si ricavano l’oppio e i suoi potenti derivati psicoattivi (tra cui morfina, codeina ed eroina). Le due specie si distinguono per il colore dei petali, rossi nel primo caso, bianchi o leggermente rosati nel secondo, e nelle dimensioni del fiore, molto più grande nel papavero da oppio.

Il rosolaccio o papavero comune condivide con quello, seppur in modo alquanto più blando, alcune proprietà sedative, per cui un infuso di petali può essere d’aiuto nel conciliare il sonno.

In questa sede, tuttavia, si sconsigliano vivamente preparazioni fai da te a base di papavero, proprio per l’azione riportata a carico del sistema nervoso, e il presente capitolo è da considerarsi a scopo puramente informativo.

La spettacolare fioritura del papavero (Papaver rhoeas)

Il principio attivo più efficace contenuto nel papavero è l’alcaloide rhoedina, che a dosi elevate o in utilizzi ripetuti e prolungati nel tempo può dar luogo a una certa tossicità, ma che a dosaggi inferiori è semplicemente responsabile dell’azione sedativa, ma anche espettorante e tossifuga esplicata dal papavero.

Interessanti e ricchi di oligoelementi quali olii essenziali, vitamine e preziosi minerali sono invece i semi del papavero, non quelli della specie P.rhoeas, ma di altre specie presenti nel nostro Paese (P.nigrum e P.setigerum), acquistabili in erboristeria e utilizzati in diversi prodotti da forno, sia dolci che salati. Anche di questi è comunque bene non esagerare, non tanto per la presenza di alcaloidi, che nei semi è minima o quasi assente, quanto perché si tratta di semi oleosi, altamente calorici.

CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE

L’etimologia del nome del papavero è incerta.

Secondo il linguista svizzero Adolphe Pictet (1799 – 1895) esso deriverebbe dal sanscrito e avrebbe il significato di “succo pernicioso”. Molto più verosimile l’ipotesi di alcuni studiosi secondo cui la radice “pap-/papa-” indicherebbe un rigonfiamento (similmente a “papula”), riferendosi alla capsula contenente i semi. Oppure, secondo altri, non è da escludere che la denominazione derivi da una voce infantile indicante la pappa. Infatti nel passato era prassi piuttosto comune offrire ai bambini una pappa in cui fossero mescolate parti della pianta per facilitarne il sonno. Ancora oggi in certe località del Centro Italia il papavero è popolarmente noto come “papagna”.

Nel dialetto ligure il papavero è noto con il termine di “baxadonne” perché i petali venivano usati per imbellettare di rosso le labbra e le guance delle donne, grazie al loro forte potere colorante.Una curiosità storico-linguistica in merito a questo genere di piante riguarda la ben nota locuzione “gli alti papaveri”.

Questo modo di dire deriva da una metafora citata da Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) nella sua opera “Ab urbe condita”, dove si narra la storia di Roma dalle origini fino al IX secolo a.C. Narra Tito Livio che nel momento in cui Sesto Tarquinio, figlio dell’imperatore romano Tarquinio il Superbo, chiese al padre come procedere nella guerra contro la città di Gabii, posta in prossimità di Roma, quest’ultimo a mo’ di esempio prendesse in mano una spada e con un colpo deciso recidesse i capolini più alti di un gruppo di papaveri del suo giardino. Il consiglio era dunque quello di annientare, innanzitutto, i notabili del luogo.

Per questo motivo ancora oggi l’espressione “un alto papavero” indica un’alta carica pubblica o colui che occupa un posto di potere.

Pianta fortemente simbolica, secondo gli antichi Greci il papavero era il simbolo dell’oblio e del sonno; nella mitologia greca Morfeo, il dio dei sogni, era rappresentato con un mazzo di papaveri fra le mani. Per i Romani, invece, il papavero era associato alla dea Cerere, divinità delle messi, raffigurata con ghirlande di grano e papaveri, per la presenza costante di papaveri in tutti i campi di cereali.

Il papavero da oppio (Papaver somniferum) è parente stretto del nostro papavero dei campi, ma a differenza di questo contiene sostanze psicoattive potenti

Nel mondo anglosassone il papavero rappresenta la memoria delle vittime della prima e seconda guerra mondiale, e nel Regno Unito durante il giorno commemorativo del Remembrance Day (11 novembre, giorno in cui nel 1918 ebbe termine il primo conflitto mondiale), è diffusa la tradizione di appuntare un papavero rosso di stoffa all’occhiello. Questo emblema fu scelto perché in molti campi che furono teatro di battaglia sbocciano numerosi papaveri, ma anche per il loro vivido colore rosso che ricorda quello del sangue sparso.

A tal proposito, famose sono le parole del cantautore genovese Fabrizio de André “Mille papaveri rossi”, titolo di un album tributo del 2003 pubblicato in suo onore, tratte dal brano “La guerra di Piero”, malinconica ballata sul tema della guerra.

Infine ricordiamo che con questa pianta si svolgeva il gioco antico delle “bamboline”, per cui i boccioli dei papaveri venivano usati dai bimbi per riprodurre delle damine in miniatura. Si staccava il bocciolo dallo stelo, si schiudevano con delicatezza i verdi sepali e si lisciavano le “vesti” delle damine costituite dai petali ancora un po’ stropicciati, che avevano colori variabili dal bianco al rosato al rosso acceso, a seconda del grado di maturazione del fiore al suo interno. La testolina che veniva posta al di sopra del corpicino era costituita da una capsula rigonfia di un fiore di papavero. Con questi giochi, insegnatimi amorevolmente da una nonna che aveva particolarmente a cuore la Natura in tutti i suoi aspetti, io stessa mi sono baloccata a lungo da piccolina, e li ricordo con affetto, meraviglia e nostalgia.

UTILIZZI IN CUCINA

Del papavero si raccoglie la rosetta di foglie basali quando sono ancora giovani e tenere, si possono mescolare alle altre essenze che compongono il “prebuggiùn” e far lessare per tutti gli usi che ne conseguono. Se ne possono fare frittate, ripieno per pansotti o ravioli, torte salate, oppure si possono semplicemente saltare in padella con aglio e olio extravergine di oliva taggiasca.

La foglia del papavero è pennatopartita, con margine più o meno inciso e apice acuto

Le foglie più tenere del papavero possono anche essere consumate crude in insalata, sempre mescolate ad altre specie.

Personalmente, anche se il sapore di questa verdura è piacevolmente dolce, non esagero mai nella raccolta, e preferisco mescolare una piccola quantità di papavero al resto delle verdure, proprio per il contenuto in alcaloidi presenti in tutte le parti della pianta, per quanto in dose modestissima.

LA RICETTA

Risotto con foglie di papavero

(Ricetta di famiglia)

 Poiché nel risotto è sufficiente mettere una quantità davvero ridotta di verdure, sfruttiamo al meglio il sapore dolce del papavero per un primo piatto saporito e gradito a tutti.

Ingredienti:

– una manciata di foglie di papavero

– riso quanto basta (calcolare circa 80 gr a persona)

– una piccola cipolla oppure uno scalogno

– olio extra vergine di oliva taggiasca

– una noce di burro

– formaggio parmigiano grattugiato

 

Procedimento:

Tritare finemente la cipolla e porre in un tegame con olio extra vergine di oliva taggiasca, insieme con le foglie di papavero crude, accuratamente lavate e tagliate ben sottili. Lasciar rosolare e soffriggere, rimestando spesso, per circa 10-15 minuti. Eventualmente allungare con acqua, se si dovesse asciugare troppo, per non rischiare di danneggiare il soffritto. Versare il riso e mescolare per bene, lasciandolo stufare per qualche secondo prima di aggiungere brodo. Cuocere il riso secondo i tempi di cottura previsti (di solito una ventina di minuti), aggiungendo brodo via via quando necessario. Poco prima di spegnere la fiamma, mantecare con una noce di burro e formaggio parmigiano grattugiato. Servire ben caldo.

 

Un gioco antico che si faceva con i fiori del papavero era quello delle damine o bamboline

 

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