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IL PRATO DI LAURA (10)

IL GRESPINO, DAL MITO AL SUGO Grespino dei campi, fondamentale per il prebuggiun con la prescinsêua, per i pansotti. Ricco di Vitamina C, minerali di ferro, calcio e fosforo e anche di Omega 3. Fondamentale in cucina serve un po’ a tutto: dal medicare ulcere e foruncoli fino a sconfiggere il Minotauro. LAURA BRATTEL   […]

IL GRESPINO, DAL MITO AL SUGO

Grespino dei campi, fondamentale per il prebuggiun con la prescinsêua, per i pansotti. Ricco di Vitamina C, minerali di ferro, calcio e fosforo e anche di Omega 3. Fondamentale in cucina serve un po’ a tutto: dal medicare ulcere e foruncoli fino a sconfiggere il Minotauro.

LAURA BRATTEL

 

NOMI COMUNI: grespino dei campi, grespino dei prati, grespino degli orti, grespino (o crespino, o crespigno) comune, cicerbita, lattarolo, soncino (oltre a diversi nomi dialettali).
NOME SCIENTIFICO: Sonchus oleraceus
NOME DIALETTALE QUILIANESE: laciansùn

FAMIGLIA Asteraceae

DESCRIZIONE DELLA SPECIE

Pianta erbacea perenne o biennale, con radice a fittone.
Lo stelo floreale, cavo all’interno, può giungere fino all’altezza di un metro. Le foglie hanno una morfologia estremamente variabile. Molli e di un verde opaco, si presentano grosso modo di forma lanceolata, più o meno incise al margine, profondamente dentate o lobate. Talvolta stelo e nervature foliari possono assumere una sfumatura rossiccia.
L’infiorescenza, di colore giallo vivo, è composta esclusivamente da elementi ligulati (quelli che chiamiamo comunemente, seppur erroneamente, “petali”). I fiori, sensibili alla luce e al calore, si richiudono durante le ore più calde.
I frutti sono acheni, dotati di pappo terminante con un ciuffo di peli.

Le foglie del grespino si presentano a morfologia estremamente variabile. Il margine risulta di solito piuttosto inciso. Le foglie superiori, quelle lungo lo stelo, sono sessili (prive di picciolo) e amplessicauli (abbracciano lo stelo a cui sono fissate)

HABITAT

Pianta comune diffusa ovunque, il grespino cresce, come cita il nome popolare, nei campi coltivati o incolti, nei prati, al margine delle strade, nelle zone ruderali e perfino nei centri abitati, nelle fessure dei marciapiedi o nelle aiuole cittadine.

Il grespino dei campi (Sonchus oleraceus) cresce ovunque, perfino nelle fessure dei marciapiedi cittadini

PROPRIETÀ OFFICINALI

Come molte altre specie che compongono il misto di verdure selvatiche, si tratta di un alimento-medicamento, utile a rivitaminizzare e rimineralizzare l’organismo. Contiene quantità elevate di vitamina C, e minerali quali ferro, calcio, fosforo. Svolge azione depurativa, disintossicante del fegato, digestiva e stimola l’attività biliare.
Possiede anche una discreta dose di Omega 3, acidi grassi polinsaturi amici del cuore e del sistema nervoso.
Secondo la medicina popolare il grespino, allo stato fresco, veniva usato come impiastro o cataplasma dalle virtù emollienti, per medicare ulcere cutanee o foruncoli.

CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE

Questa pianticella dall’apparenza comune e modesta ha in realtà un uso antico e documentato: è citata già da Teofrasto, filosofo e botanico greco vissuto nel III secolo a.C., quale “sonchon”, e da Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia”, quale “sonchos”. Sembra che questo termine derivi da una voce greca col significato di “vuoto, molle, spugnoso”, riferito alla caratteristica del fusto e delle foglie.
Il termine dialettale usato nella vallata quilianese, invece, “laciansùn”, deriverebbe da una radice latina del tipo “lactucula”, cioè “piccola lattuga” o “specie simile alla lattuga”. Lo stesso Plinio descrive la specie come “simile alla lattuga”, e ugualmente fa Columella, scrittore romano contemporaneo di Plinio, nel suo trattato di agricoltura “De re rustica”. Quest’ultimo ci informa che in Francia il “sonchos” era chiamato, appunto, “laisron”, perché somigliante alla lattuga.
La somiglianza ad una verdura orticola è sottolineata nella denominazione di genere data da Linneo nel Settecento: “oleraceus”, dal latino “ŏlŭs, oleris”, che indica verdure ed ortaggi (per lo più cavoli), con suffisso “-ācĕus”, vale a dire “simile a”.
Infine, non tutti sanno che il grespino è anche una pianta epica. Callimaco, poeta greco vissuto nel III secolo a.C., lo cita nel suo poemetto “Ecàle”, un “epilio”, ossia una composizione epica breve. Il protagonista dell’opera è Teseo, l’Ateniese che sconfisse il Minotauro, il quale prima dello scontro viene accolto da una vecchina ospitale, Ecàle, appunto. L’anziana offre all’eroe un rifugio sicuro dove trascorrere la notte, ma anche del buon cibo: grespino e finocchio marino. Ed è con questo pasto che il valoroso parte verso il suo destino, sia esso glorioso o tragico. Tornato vittorioso dalla vecchina gentile, la trova purtroppo morta, e in suo onore innalza un tempio, da cui avranno origine le Ecalesie, feste dedicate a Zeus nell’antica Atene.

La denominazione scientifica Sonchus deriverebbe da un termine greco che significa “vuoto, molle, spugnoso”, e si riferisce evidentemente alla consistenza del fusto e della pianta del grespino

UTILIZZI IN CUCINA

Il grespino trova largo impiego in cucina: sia crudo in insalate, mescolato ad altre specie spontanee mangerecce, sia lessato e stufato in padella con aglio e olio. Rientra a pieno titolo nella composizione del classico “prebuggiùn” ligure, da cui non può mai mancare.
Per la sua caratteristica di pianta molto delicata, si presta ad una cottura piuttosto rapida.
Questa specie, insieme ad altre, è la base del ripieno di saporiti ravioli o pansotti, ma se ne possono preparare profumate frittate e ottime minestre. Nell’Italia Centrale e Meridionale il grespino viene consumato in misticanza o in purezza, lessato, per accompagnare piatti di legumi (in particolare con fagioli oppure con fave).
Dalla radice tostata nei secoli passati si otteneva una bevanda simile al caffè di cicoria.

LA RICETTA

Ricordo con particolare affetto ed incanto i tradizionali pansotti preparati a casa di mia nonna: le donne affaccendate attorno al tavolo che seguivano con scrupolo le direttive della dolce ma determinata matriarca, la preparazione lunga e laboriosa, le forme non sempre regolari delle mezzelune, le soste presso il focolare ad ascoltare una storia, al termine del lavoro. E poi, l’arrivo degli uomini: il nonno, il prozio, gli zii, mio padre, i cugini, e lo stare tutti seduti insieme attorno al tavolo fuori dalla casa, all’ombra di un pergolato di vite.
Il sugo migliore che potesse accompagnare questo piatto, secondo me, era quello di nocciole. V’erano alcuni arbusti di nocciole sotto la casa, dai quali si raccoglievano i saporiti frutti, e il condimento che se ne ricavava era particolarmente corposo e cremoso, dal sapore piacevolmente delicato, che ben si accompagnava ai nostri pansotti.
Questa è la ricetta di mia nonna.

Pansotti al sugo di nocciole
(Ricetta tradizionale della mia famiglia)
Dosi per 4 persone, circa.

Ingredienti:

Per la pasta:
– 3 etti di farina
– 3 uova
– acqua quanto basta
Per il ripieno:
– 250 gr di prescinsêua (fortaggio fresco, tipico nostrano)
– mezzo chilo di verdure lessate e strizzate (“prebuggiùn”), da cui non mancherà il grespino
– 3 uova
– una cipolla
– due manciate di formaggio grattugiato (grana o parmigiano, un tempo si usava il pecorino)
– una presa di sale
– noce moscata
– maggiorana
– pangrattato solo se necessario
Per il condimento:
– 3 etti di nocciole sgusciate e tritate finemente
– una cipolla (o uno scalogno, a piacere)
– passata di pomodoro
– olio extra vergine di olive taggiasche

Procedimento:

Per la preparazione del ripieno e della sfoglia, si seguano le istruzioni date per la ricetta dei ravioli (si veda la scheda del caccialepre).
Chiaramente nel ripieno dei pansotti metteremo del formaggio al posto della carne, perché si tratta di un piatto di magro. Tradizionalmente si usava la prescinsêua, un formaggio fresco dal sapore leggermente acidulo, tipico delle nostre zone. Quando mia madre si cimenta con questa ricetta, però, la sostituisce per lo più con della ricotta.
Per fare la sfoglia, come avevo già avuto modo di raccontare, mia nonna utilizzava rigorosamente un lungo mattarello. La sfoglia veniva sempre perfetta, omogenea e sottile. Ai miei occhi quello sembrava – e forse era – un lavoro titanico. Mia madre ha sempre usato la macchinetta a rulli per la pasta, la sfogliatrice; poi adagia le sfoglie sullo stampino per pansotti (la forma del pansotto dovrebbe essere triangolare, oppure vanno bene dei quadrotti piuttosto grandi), riempie ciascun settore, ricopre con altra sfoglia, capovolge e schiaccia, quindi taglia i singoli pansotti con una rotella.
Nonna invece, una volta create le sfoglie, ci faceva produrre i pansotti in modo molto più rustico: dovevamo porre una pallina di ripieno a metà della sfoglia, a distanze regolari, lungo tutta la sua lunghezza, aiutandoci con un cucchiaio ed un cucchiaino. Quindi la sfoglia veniva ripiegata e schiacciata con le dita attorno ai bordi del ripieno, che doveva essere piuttosto abbondante. Il pansotto, infatti, è molto più grande del raviolo. A questo punto si formavano delle mezzelune tagliandole con la rotella. Le mie, poiché ero una bambina, erano le più irregolari di tutte, per fortuna ero anche lenta, sicché alla mia scarsa manualità sopperivano le mani abili delle zie e della mamma.

Preparazione del sugo di nocciole:
Porre un trito di cipolla (o di scalogno, a piacere) a rosolare in un tegame. Quando la cipolla è dorata, aggiungere il trito fine di nocciole, rimestando per bene. Ripassare solo per pochi istanti, quindi aggiungere la passata di pomodoro, con un pizzico di sale.
Lasciar cuocere per una decina di minuti, un quarto d’ora al massimo.

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