Dalla preistoria ad oggi, i nostri boschi, che passano dai Liguri, ai Romani, ai Barbari, fino al medioevo ed ai giorni nostri. Il bosco di Savona, frazionato in più lotti, di cui uno è “Le Tagliate”.
GIUSEPPE TESTA
Un bosco che ha ricoperto grande importanza in passato, e ne ricopre ancor oggi, anche se notevolmente antropizzato, è il Bosco di Savona. Completamente spopolato un millennio fa, oggi nel territorio originale sorgono agglomerati, strade, industrie, abitazioni ed altro. Rispetto all’estensione iniziale risulta frazionato in più parti, ormai separate e distinte. Conoscerne la storia, e lo sviluppo dei passaggi di proprietà che lo vedono coinvolto, risulta importante anche ai fini di altri studi sui boschi, in quanto ci permette una comparazione, essendo notevolmente documentato. Avendo, il bosco, seguito le sorti della città di Savona – eretta a Libero Comune, grazie alla copiosa documentazione redatta da quel periodo in avanti, è possibile conoscere tutti i passaggi legali avvenuti grazie all’enfiteusi, alle donazioni, alla “statalizzazione” o ad altre formule di vendita o affitto, cosicché possiamo seguirne l’evoluzione sino ai giorni nostri.
Situato alle spalle della città, ha avuto un periodo di grande estensione, ed è oggi ridotto per l’opera dell’Uomo. Il fatto che si tratti di un bosco tutelato, cioè soggetto a rigide norme, da quasi mille anni, ne fanno uno tra i più antichi boschi pubblici conosciuti. Il primo documento oggi noto che lo cita, datato 1080, la definisce silva, probabile indizio che in quel periodo era limitato, o nullo, l’uso e gestione da parte dell’Uomo.
L’importanza di questo territorio, esteso circa 20 Km quadrati, si deduce dalla mole di documenti che lo riguardano, antecedenti al secolo XIII. Nei documenti si cita, tra gli altri tributi, l’escatico (antica usanza) del bosco, forse riferito alla raccolta dei prodotti naturali come i frutti degli alberi selvatici. Il territorio era sprovvisto di insediamenti stabili, salvo quelli stagionali degli addetti al pascolo, raccolta castagne, produzione di carbone o alle altre attività forestali. La lettura dei documenti ci chiarisce la storia del Bosco: la parte di silva verso il mare non sembra essere inizialmente interessata da interventi umani, mentre si evince esservi, nella zona Valbormidese, una precoce e parziale antropizzazione, grazie al contributo degli insediamenti monastici e delle dinamiche insediative di allora, ben diverse da quelle odierne. Dalla fondazione dell’Abbazia di Ferrania (XII secolo), posta ai confini della Silva, poco alla volta sono citati in atti legali lotti di territori dentro la stessa. Sono ben tre documenti (relativi agli anni 1171, 1176 e 1180) che riguardano, tra l’altro, una probabile miniera d’argento (argenteria) nella vallata del Lavanestro.
L’esteso territorio che occupava la Silva è stato oggetto di profonde trasformazioni nel corso dei secoli, seguendo i destini “politici” dei territori nelle loro evoluzioni giurisdizionali. Questo inizialmente si estendeva anche nelle alte valli del torrente Quiliano, penetrava in Val Bormida con la vallata del Consevola, situata al di là dello spartiacque, e nella zona corrispondente alla sinistra orografica dello Sciusa, nell’attuale comune di Vezzi Portio. Hanno in seguito assunto una propria identità le zone boschive della Consevola e delle Tagliate, distaccatesi dal punto di vista della giurisdizione territoriale dalla primitiva silva e da quello che sarà detto Nemus Saonense.
Inizialmente proprietà marchionale, come tutti i boschi della Marca Aleramica e poi dei vari Marchesati, la silva fu coinvolta nel processo di nascita del Libero Comune Savonese. Nel 1179 i Marchesi di Savona, vendettero tutti i diritti in quella zona, e si spostarono prima a Noli poi nel Finalese. L’atto che pose fine alla signoria dei Marchesi sul territorio di Savona risale al 1192. La città era riuscita a venir meno al rapporto di feudalità, conquistando tra le altre cose i diritti d’uso del Bosco. Dalla stipula dell’atto il Bosco di Savona rimase sotto l’amministrazione del Comune. Le norme per la tutela del bosco vennero codificate negli statuti del 1345 e successivi. Erano vigilati da guardie che applicavano pene a loro insindacabile arbitrio, mentre l’ufficiale controllava le autorizzazioni e le quantità di materiali asportati. A nessun forestiero era permesso prelevare alcunchè. Molte delle regole severe erano rivolte alla tutela, preservazione ed al pericolo di incendio. L’estensione del bosco iniziò a ridursi, e questo processo si intensificò raggiungendo un picco durante il XVI secolo. Con l’acquisto fatto alla fine del XII secolo la comunità savonese era entrato in possesso, oltre che del vasto territorio a Sancto Petro de Carpignana et in sursum usque Iugum (il primo passaggio è l’atto legale del 10 aprile 1191, che anticipa quello inerente l’acquisto di Quiliano), anche della relativa zona montana boschiva, e della villa di Vezzi. Inizia, per il Nemus –che ormai si può chiamare Saonense a pieno titolo- un utilizzo agricolo almeno in alcune sue parti. E’ del 16 agosto 1265 un documento che ne fissa i confini: “nemus autem predictum est inter territorium marchionis de Carreto et territorium comunis Sagone, videlicet in medio dictorum territoriorum, cui nemori coheret superius iugum Altaris, inferius vallis de Rio de Cornario, ab alio boschus hominum de Albiçola”. In quel periodo il Nemus era compreso tra i boschi degli “uomini di Albisola”, alcuni territori ancora di proprietà marchionale ed il territorio di Savona. Il rio Cornaro è un rio laterale della valle Quazzola, alle spalle di Quiliano. Nel 1263, per migliorare la gestione delle attività all’interno del Nemus, legalizzare ufficialmente i possessori, e porre le basi giuridiche per le tassazione ed altro, furono redatti numerosi atti (ben 225, raccolti oggi nel secondo Registro della Catena del Comune). Con essi vennero definiti la posizione, i confini, l’estensione e lo status giuridico dei lotti. Nel 1297 furono redatti ulteriori 121 atti, simili a quelli stipulati un trentennio prima e che interessano lotti posti tra la valle dei torrenti Quazzola e Lavanestro, la zona di Montemoro e l’alta valle del Letimbro. Raramente in Italia si trova tanta documentazione per casi analoghi. Questi documenti costituiscono una miniera di informazioni: permettono di intuire il sistema viario che attraversava il Nemus, chiarire il tipo di alberi allora presenti e la loro distribuzione, quale era l’utilizzo agricolo ed eventuali altri utilizzi, quali gli insediamenti umani e infine i confini esatti del Nemus.
Alcuni episodi che seguirono, indirettamente influirono anche sulla sorte della silva, destinata a frammentarsi. Era iniziato con la vendita, il 23 novembre 1192, con cui il marchese Ottone aveva ceduto ai consoli di Savona anche il castello, la Curia e la Villa di Quiliano, inserendo nella vendita anche il luogo di Vezzi. È probabile che questi luoghi costituissero già una sola entità feudale.
Prima rivali commercialmente, ed in seguito liberi Comuni, Savona e Noli entrarono in pieno contrasto per il controllo della viabilità per l’entroterra. Il 10 agosto 1192 Noli aveva acquistato dal marchese Enrico II metà di Segno e del suo territorio, legando con una clausola rogata in altro atto del medesimo giorno, anche la prelazione sull’altra metà. Fu questa vendita a convincere i Savonesi all’acquisto di Quiliano e Vezzi. Tra tutti i litiganti per quest’area così importante si inserì prepotentemente Genova, che ottenne metà della zona compresa tra Vado e Quiliano con una contestata donazione papale. Il 17-12-1385 la Repubblica ebbe dal papa Urbano VI i diritti del Vescovato di Savona sui quartieri di Vado, Tiassano, Morozzo, Noce, Casola, Veirasca e Lanrosso (frazioni queste ultime del Quilianese); la neoformata comunità, detta Quiliano Poder di Genova interrompeva e controllava la Julia Augusta (che nel tratto montano ricalcava la Via Aemilia Scauri), o almeno quello che ne restava.
Iniziarono una serie di scontri che terminarono quasi tre secoli dopo, quando Genova inglobò tutti questi luoghi, escluso il Marchesato di Finale. La zona quilianese fu divisa poi in Quiliano Poder di Savona e in Quiliano Poder di Genova, sino alla fine del XVIII secolo. Tale frazionamento diede la possibilità alla Repubblica di controllare: la rada e il porto di Vado, le strade che da questo si dipartivano (sia verso la riviera di ponente, sia verso Segno), il Passo di San Giacomo (verso l’entroterra attraverso la direttrice della Val Quazzola per Cadibona) ed infine, la viabilità che si snodava da Quiliano per l’entroterra, (attraverso la valle Trexenda o le frazioni di Roviasca e Montagna). Esistevano qui una serie di percorsi che valicavano lo spartiacque, controllati anticamente dal castello del “Pomo”, e che generalmente collegavano con l’Altarese. I nuovi confini politici che si venivano a creare, avevano dirette ripercussioni anche sull’unità territoriale e l’uso del bosco, ormai giuridicamente non più unito.
A partire dal XIII secolo, data questa divisione che intaccava antichi equilibri, il Bosco fu motivo di contrasti tra l’abitato di Quiliano e la città di Savona, e via via di scontri con altre comunità confinanti. Nel corso del XVII secolo venne edificato dalla Repubblica di Genova il Forte “Baraccone”, (nome dato ad una costruzione tipicamente militare, metà caserma e metà fortificazione), allo scopo di prevenire gli scontri sull’utilizzo dei boschi della Consevola. Il bosco della Consevola prende il nome (o lo da) al piccolo rio che nasce dal Colle del Termine (m 761), è affluente di destra del fiume Bormida di Mallare. Esso si trova su un rilievo che domina la strada che conduce da Roviasca, frazione di Quiliano, al Bric del Termine (o Termo, toponimo di origine romana molto frequente, ricorre sotto varie forme: Termo – il termine – Colle del Termine – Rian del Termine, si riferisce a precisi confini o limiti territoriali fra località diverse) e alle Tagliate.
Con la conquista militare del Comune di Savona nel 1528, il Bosco savonese diventò proprietà della Repubblica di Genova, riacquistando la primitiva unità dal punto di vista politico, ma non per quanto concerne l’uso diversificato dello stesso, da parte delle diverse comunità. Genova, subito dopo la vittoria, distrusse le fortificazioni, interrò il porto e affondò parte della flotta savonese. Negli anni che seguirono Savona, con un timido tentativo di rialzare la testa, tentò invano di riappropriarsi dei diritti sul Bosco, per soddisfare la richiesta di legname da parte dei cantieri navali in ripresa. Sotto il dominio genovese continuò (come già avveniva in precedenza) la politica dell’enfiteusi, (cioè la concessione temporanea di un terreno in cambio del miglioramento del fondo), che teoricamente consentiva di ottenere un reddito dal bosco e contemporaneamente ne garantiva la conservazione. In realtà questa politica, iniziata quando il Bosco di Savona era proprietà del Comune, non era mai stata sviluppata in modo così massiccio. Tale modalità fu in realtà dannosa perchè non consentiva un efficace controllo degli abusi. La superficie del Bosco iniziò a recedere, mentre aumentavano le attività agricole e l’antropizzazione con la nascita o lo sviluppo di vari insediamenti. Una serie di tagli indiscriminati e non autorizzati, furti di legname e incendi devastarono il soprassuolo. Si cercò di intervenire legalmente, ma con scarsi risultati, nel 1601, proibendo, tra le altre cose, il pascolo caprino (particolarmente nocivo per il mondo vegetale) anche perché tale attività normalmente non era svolta dal titolare di enfiteusi ma erano terzi a pascolare, con l’accordo o meno dell’enfiteuta, danneggiando i fondi in modo rilevante. Fu preferito allora attuare una politica tesa alla privatizzare di alcune zone del Bosco per favorire la costituzione di fondi agricoli che avrebbero permesso un miglior controllo del territorio. Sia a privati cittadini che ordini religiosi o pie congregazioni: vennero cioè concesse in enfiteusi terre pubbliche, con la possibilità di costruire abitazioni. Questa politica di “privatizzazione” di sempre maggiori superfici del Bosco, lo trasformò, fino a farlo divenire all’inizio del 1700 una zona sostanzialmente agricola, e soprattutto gestita quasi esclusivamente da famiglie nobili ed istituti religiosi. Questi ultimi erano infatti gli unici beneficiari delle concessioni in enfiteusi, nel periodo della Repubblica. Nel 1700 l’estensione del Bosco era aumentata, ma le sue condizioni risultavano decisamente scadenti e per circa un secolo non migliorarono. Nel 1807 il Savonese passò sotto il dominio francese, ed il Bosco di Savona diventò “bosco imperiale”. Per tutto il periodo francese non furono concessi altro che i diritti d’uso. In questo periodo il prefetto Chabrol si occupò di emanare nuove norme per la difesa ed il miglioramento del Bosco. Fece “impiantare” un vivaio, promosse le alberature stradali, e cercò di risolvere l’annoso problema delle esondazioni, effettuando la sistemazione idraulica dei torrenti. Dopo il 1815 il Bosco di Savona passò in proprietà all’Amministrazione Regia. Savona continuò invano a tentare di riappropriarsi del Bosco, anche negli anni seguenti all’annessione alla Francia. Nel 1843 il Comune intraprese quindi una battaglia legale che terminò con il riconoscimento della proprietà del Bosco al Demanio. Terminarono così definitivamente i retaggi del diritto d’uso e dell’enfiteusi. Negli ultimi anni la foresta è entrata a far parte del Demanio forestale regionale.
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