Nel 1975 Dario Argento è ormai un nome affermato nel panorama cinematografico italiano. Tra il 1970 e il 1971 ha realizzato tre pellicole appartenenti al genere thriller, dai toni molto cupi, che riscuotono un enorme successo di pubblico e gli fanno guadagnare l’epiteto di Hitchcok italiano.La notorietà del regista romano è tale che la RAI (all’epoca, ricordiamolo, detentrice del monopolio televisivo nazionale) gli propone di realizzare una serie in quattro puntate, Una Porta sul Buio. Verrà trasmessa nell’autunno del 1973 e, inutile specificarlo, è un altro lavoro che riscuote grande successo. E arriviamo dunque al marzo del 1975 quando nelle sale esce Profondo Rosso.
Ed è il lavoro della maturità dell’appena, all’epoca, trentacinquenne Argento. Se i precedenti film, pur presentendo elementi di originalità che contribuivano a determinare uno stile inconfondibile, non si distaccavano nella sostanza dal filone del thriller “all’italiana” che aveva il suo rappresentante di punta in Mario Bava (al cui Sei donne per l’assassino il nostro Argento è notevolmente debitore), con Profondo Rosso il regista romano si stacca dai precedenti lavori per proporre quello che molto probabilmente è il vertice assoluto del genere thriller in Italia e uno dei migliori a livello internazionale.
La trama è caratterizzata da una tensione continua che inchioda lo spettatore sulla poltrona senza un attimo di tregua, una storia in cui a una tradizionale trama da “giallo” (una serie di efferati delitti commessi da una mano misteriosa su cui si trova ad indagare, per caso e contro la sua volontà, un pianista jazz affiancato da una briosa giornalista)si sovrappongono elementi più propri del cinema horror anticipando di un paio d’anni la svolta che Dario Argento intraprenderà con Suspiria.
Già dalle prime battute lo spettatore si trova immerso in una atmosfera di angoscia: in un teatro vetusto una associazione di cultori della parapsicologia e dell’occulto tiene una conferenza con la presenza di una medium che, nel tentativo di dare una dimostrazione delle sue capacità, percepisce in sala la presenza di un’anima malvagia.
“Sono entrata in contatto con una mente perversa! I suoi pensieri sono pensieri di morte! Via! Via! Tu
hai già ucciso e sento che ucciderai ancora.”
Il terrore che attanaglia la medium ci viene mostrato attraverso una soggettiva (il punto di vista è quello dell’assassino) e da qui parte l’inquietante musica dei Goblin (altro elemento di grandissimo pregio) su una serie di immagini attraverso cui si materializzano i fantasmi di una mente malata, mente che partorirà una serie di efferati delitti (mostrati in tutta la loro violenza) uniti dal filo conduttore di un terribile episodio appartenente al passato dell’assassino.
Profondo Rosso è un capolavoro, non c’è un solo fotogramma che non abbia un senso compiuto e si inquadri nel diabolico meccanismo ideato dal regista per atterrire il suo pubblico, con un colpo di scena finale che è giustamente entrato nella storia del cinema. Un meccanismo meticoloso di cui fanno parte sia la straordinaria colonna sonora ideata, come detto sopra, dai Goblin, gruppo del filone progressive rock che allora dominava il panorama italiano ed internazionale, in collaborazione con Giorgio Gaslini, e le splendide location in gran parte appartenenti a Torino, città che da sempre è avvolta da un’aurea di magia e mistero.
In conclusione doverosa menzione per i protagonisti, i bravissimi David Hemmings, nel ruolo del pianista Marc Daly, e Daria Nicolodi (all’epoca compagna di Argento, attrice di grande talento che ci ha lasciati un anno fa) in quelli della giornalista Gianna Brezzi, supportati da un eccellente cast che vede, tra gli altri, Gabriele Lavia, Macha Mèril, Giuliana Calandra, Gluaco Mauri e Clara Calamai.
A cura del Cineforum “Quei Bravi Ragazzi” (Gianni Novelli)
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