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Quiliano e Valleggia, la storia di una passione per il calcio e il proprio paese. Il racconto di un amore secondo il presidente Giorgio Landucci che affronta a tutto campo, presente, futuro, ambizioni e sogni nel cassetto.  Ecco il Quiliano&Valleggia secondo Landucci. BORIS CARTA Nella piana situata fra Savona e Vado Ligure la passione per […]

Quiliano e Valleggia, la storia di una passione per il calcio e il proprio paese. Il racconto di un amore secondo il presidente Giorgio Landucci che affronta a tutto campo, presente, futuro, ambizioni e sogni nel cassetto.  Ecco il Quiliano&Valleggia secondo Landucci.

BORIS CARTA

Nella piana situata fra Savona e Vado Ligure la passione per il calcio è stata sempre particolarmente sentita. Raccolta in un unico Comune ma ben distinta in due comunità (quella di Quiliano, che dà il nome al Municipio, e quella di Valleggia), ha narrato due storie sportive differenti ma legate tra loro sotto il profilo della partecipazione popolare e della capacità di aggregazione, assurgendo a simbolo dell’identità della propria terra: ai biancorossi, protagonisti di non infrequenti puntate ai massimi livelli del calcio regionale, si opponevano i “viola”.

STORIE DIVERSE, UN FUTURO ASSIEME

Il colore ufficiale della maglia fu scelto all’inizio degli anni ‘70 dalla rifondata società, su impulso del presidente Pieraccini (un viareggino tifoso della Fiorentina) ed emblema per molti anni del calcio fatto per pura passione, come testimoniato da Francesco Landucci – per oltre quarant’anni presidente del Valleggia – con il motto «la Seconda Categoria è la nostra Serie A».

La fusione tra i due sodalizi che nell’estate del 2017 ha dato vita all’U.S.D. Quiliano&Valleggia, attualmente impegnata nel campionato di Prima Categoria, ha rappresentato l’ultimo capitolo di quest’epoca di grande fioritura.

L’intervista al presidente Giorgio Landucci, nipote del già ricordato Francesco, fotografa in modo efficace i mutamenti che nel corso dei decenni hanno interessato il calcio, compreso quello delle divisioni minori, senza tuttavia intaccarne le componenti fondamentali: la passione e lo spirito.

COME NASCE UN AMORE

Giorgio Landucci presidente del Quiliano&Valleggia calcio

«La mia passione per il calcio è nata da bambino. Ho dato i “primi calci” nel Vado FBC. Alla fine degli anni ‘70, da Vado Ligure (dove sono nato) la mia famiglia si trasferì a Quiliano dove ricominciai a giocare, dopo la militanza in altre due società e una interruzione. La società era stata da poco rifondata. Sul famoso campo in terra battuta ho giocato qualche anno partendo dalla Terza Categoria e conquistando due promozioni. Ho smesso di giocare definitivamente abbastanza presto per vari motivi, tra i quali anche problemi fisici. Dopo un lungo periodo di allontanamento sono rientrato nel mondo del calcio qualche anno fa, chiamato a collaborare con il Quiliano Calcio. Successivamente sono entrato a far parte del direttivo della società come dirigente e anche responsabile del settore giovanile. Il 14 luglio 2019 sono stato eletto presidente. Poiché la passione non è mai venuta meno, così come l’attaccamento alla società, sono stato felice di rientrare».

 

 

FUSIONE GIUSTA, CI HA RESO TUTTI PIÙ FORTI


Ma quanto è cambiato il calcio, nel frattempo ?

«L’evoluzione più grande che ho riscontrato è sicuramente quella a livello organizzativo. Le società di calcio devono essere strutturate, in tutto e per tutto, come aziende, anche a livello dilettantistico. Questa è una cosa che mi piace, perché una buona organizzazione societaria si traduce in molteplici risvolti positivi oltre quello relativo al campo. Anche in una società dilettantistica ognuno, dal presidente al direttore sportivo, al direttore generale, al magazziniere, deve avere ruoli estremamente precisi e mansioni specifiche da svolgere. Ovviamente occorre tenere i piedi saldamente a terra e avere sempre presente la realtà in cui ci si muove. È un mondo dove si fa fatica a “tirare avanti”; in questo momento particolare ancora di più e senza fattori come la passione, il volontariato, l’attaccamento a certi valori, a mio avviso, si fa poca strada.»

La maglia viola del Valleggia e i biancorossi del Quiliano. Una fusione, secondo Landucci, che ha reso più forte le due realtà

Un campanilismo che a Quiliano risulta particolarmente sentito…

«Indubbiamente, la fusione tra Quiliano Calcio e U.S. Valleggia non è stata una passeggiata di salute data la sana e abbondante rivalità tra le due squadre che io ho vissuto avendo giocato parecchi “derby”. È stata un’operazione faticosa ma, a mio giudizio, positiva perché ritengo che, unendosi, queste due società abbiano fuso e aumentato la loro forza. Sono orgoglioso di aver dato il mio contributo per portarla a termine. Certo, c’è ancora qualcuno che storce il naso. Io sorrido senza ironia e penso sempre che è necessario il massimo rispetto per tutti. Un po’ di campanilismo non fa male, ma io continuo a sostenere che gli obiettivi devono essere comuni seppur, ripeto, nel massimo rispetto di ogni idea. Dal punto di vista gestionale e organizzativo per me è stata una buona scelta.»

 

UNA GRANDE SQUADRA ANCHE FUORI DAL CAMPO

 

In quali settori è attualmente suddivisa l’U.S.D. Quiliano& Valleggia?


«La nostra realtà è abbastanza semplice. Abbiamo una squadra che militerà nel campionato di Prima Categoria e una in Seconda Categoria. La sinergia tra le due realtà è indispensabile. Lo staff tecnico mi pare più che adeguato per supportare entrambe le compagini. La più grande ambizione della società è quella di riuscire a portare avanti un discorso serio e concreto che riguarda il settore giovanile, completo di tutte le leve, con la speranza che da esso, gradatamente, possano uscire giocatori da portare quantomeno nelle prime squadre come peraltro è accaduto quest’anno con diversi elementi della juniores inseriti. Teniamo presente che le nostre prime squadre hanno nel complesso un’età media piuttosto bassa. La categoria Allievi che lo scorso anno prevedeva una squadra composta da una dozzina circa di giocatori, oggi può contare su una rosa raddoppiata, con alcuni elementi provenienti da altre società. Stiamo lavorando anche sulle leve dei più piccoli con risultati apprezzabili: significa che piano piano stiamo crescendo.

Abbiamo la fortuna di avere a disposizione strutture invidiabili. Ci sono diversi campi e strutture di ottimo livello in provincia di Savona ma le nostre, sicuramente, sono nei primissimi posti. Oltre al campo Picasso abbiamo, come U.S.D. Quiliano & Valleggia, la possibilità di usufruire parzialmente del campo Dagnino, al confine tra i Comuni di Quiliano e Vado Ligure. In inverno disputiamo un torneo giovanile, piuttosto conosciuto non solo nella Provincia di Savona, presso il palazzetto dello sport di Piazza Costituzione a Quiliano. Credo che quest’ultima struttura abbia pochi rivali a livello quantomeno regionale. Insomma, mi sento di dire che le potenzialità per crescere ci siano tutte. Non è facile, come dicevo prima, ma noi ci stiamo provando perché, oltre alle strutture, possiamo contare su ottime risorse umane. Approfitto per ringraziare tutti i collaboratori che ogni giorno mi sopportano ma che sono veramente ottime persone; insomma siamo una grande squadra anche fuori dal campo. I programmi che ci siamo dettati non sono a breve scadenza. Fino a qualche anno fa il Quiliano Calcio disponeva di un settore giovanile invidiabile, con veramente tantissimi iscritti. In seguito, per varie vicende, le cose sono cambiate. Lo scorso anno, però, abbiamo deciso di rialzarci o quantomeno di provare a ripartire e devo dire che non abbiamo sbagliato. A maggior ragione quest’anno, con l’adesione di figure a mio avviso affidabili, preparate a livello calcistico ma soprattutto con una volontà e determinazione smisurate, ci daremo ancor più da fare. Non abbiamo mai messo un’asticella, ma sono convinto che riusciremo a crescere nell’arco di qualche anno. Se non avessi questa convinzione e determinazione, probabilmente non avrei neppure provato a iniziare questa avventura e sfida, pur con la consapevolezza che occorre tempo per fare le cose nella maniera giusta».

I GIOVANI? IL FUTURO, MA NIENTE STRESS E PRESSIONI

Quali sono le basi per la creazione di un settore giovanile in grado di dare risultati in prospettiva?

«Parlo per esperienza personale. Prima di venire a Quiliano, chiamato dalla società a sostituire un preparatore, ho fatto parte di un’associazione molto importante, la Judax Agorà di Savona. Il calcio, insieme ad altre molteplici iniziative, era lo strumento per compiere un’attività sociale di importanza enorme. Per quanto riguarda l’ambito calcistico i bambini, al sabato e alla domenica, si ritrovavano per imparare a dare i primi calci al pallone ma soprattutto per stare insieme in un ambiente privo delle pressioni che normalmente si ritrovano sui campi di calcio. Tanti ex giocatori e, comunque, persone con trascorsi calcistici supportavano con passione e grande volontà questa iniziativa. Una volta che questi bambini raggiungevano una certa età, si provava a inserirli, se era il loro desiderio, nelle società calcistiche. Collaboravamo anche con diverse realtà del territorio al fine di dare veramente una mano a chi poteva aver bisogno ma anche soltanto per far crescere i bimbi, attraverso il gioco del calcio, divertendosi, conoscendo se stessi e gli altri, esprimendosi. Questo, a mio avviso è importantissimo. Per me è stata un’esperienza fondamentale e unica. Quei bimbi, oggi, sono ragazzi; tanti giocano al calcio nelle varie società ma hanno cominciato senza stress, senza pressione, considerando quello che il calcio è: un gioco (credo che la F.I.G.C. sia l’unica federazione che contiene all’interno della propria sigla appunto il nome ”gioco”).
Quando un giovane si avvicina alla pratica di una disciplina sportiva, in certi casi, accade che l’atteggiamento della famiglia rischia di rivelarsi un ostacolo più che uno stimolo. Non di rado, infatti, i genitori sono propensi a scorgere nella scelta dei propri figli la possibilità di una carriera che a volte va a discapito degli aspetti ludici, sportivi ed educativi. Una circostanza particolarmente diffusa nel calcio, lo sport più diffuso per antonomasia.
Ritengo fondamentale che i bambini vadano seguiti con attenzione ma non pressati. Sono convinto che chi ha i numeri per giocare nel mondo professionistico, oppure ad alti livelli nei dilettanti, prima o poi ci finisce. Ma ci deve andare con la testa giusta, consapevole di esserci arrivato naturalmente, per il proprio talento, sfruttando al massimo le proprie capacità con sacrificio e passione; questo vale per ogni sport ma anche nella vita di ognuno di noi. Io lascerei sempre i genitori fuori dai campi di allenamento: che portino i figli davanti al cancello e poi, se hanno fiducia nella società e nell’allenatore, li lascino sul campo. I genitori che gridano eccessivamente, insultando avversari, arbitri e anche, a volte, gli allenatori ovviamente mi infastidiscono, ma sono più preoccupato del fatto che con certi comportamenti si toglie probabilmente qualcosa al proprio ragazzo che è su un campo per giocare al pallone, divertirsi ma soprattutto per crescere sbrigandosela da solo. Se è bravo in qualche modo verrà fuori; se non è bravo, pazienza: non finirà chissà dove, ma si sarà divertito e, cosa più importante, sarà cresciuto sotto diversi aspetti. Questo, lo sappiamo, è un mondo che appare luccicante. È anche un mondo, però, nel quale si sale e si scende con particolare velocità. Come diceva il buon Arrigo Sacchi: mai esaltarsi quando si è alle stelle, mai deprimersi quando si è nelle stalle. Tornando un attimo indietro, penso che sia fondamentale che i bambini siano seguiti da persone adeguatamente preparate perché se si sbaglia con i più giovani si rischia veramente di far danni grossi. Su questo la Federazione dovrebbe prestare la massima attenzione».

UNA VITA DA MEDIANO: VINCERE ONESTAMENTE E DIVERTIRSI

Per concludere: che cos’è oggi, dopo mezzo secolo, il calcio per Giorgio Landucci?

«Prima di tutto è un gran bel passatempo, un modo sano per evadere dai problemi di tutti i giorni, per confrontarsi con tantissime persone sapendo che si parla di sport. Al livello che mi riguarda direttamente, il calcio è molto più semplice di quanto si possa immaginare; basta prenderlo per quello che è, saperlo leggere ma soprattutto amarlo dando la giusta dimensione alle cose. Ci tengo a precisare che io non sposo il concetto del basta partecipare, assolutamente no. Io credo che l’obiettivo sia sempre quello di vincere a due condizioni: farlo onestamente e divertirsi quanto più possibile, condividendo con altri le gioie e i dolori. È importante avere intorno a noi persone che la pensino allo stesso modo. Da soli, nonostante tutta la passione, l’abnegazione, la volontà e lo spirito di sacrificio che si possono avere, non si va mai da nessuna parte. Devo dire che ancora oggi, seppure contenendomi per via del ruolo che ricopro, qualche volta mi faccio ancora prendere dalla troppa passione come quando andavo in campo. A proposito, alla fine io ero un numero 4 meglio definito, a suo tempo, con il termine “portaborracce”. Mi sono espresso sicuramente a bassi livelli ma sono contento, relativamente al calcio, di quel poco che ho fatto perché, comunque, l’ho fatto sempre con una passione enorme; la stessa che, fuori dal campo, ci metto ora.»

 

 

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