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QUILIANO AI TEMPI DELL’INQUISIZIONE

Incantesimi, superstizioni, stregonerie. Un tempo l’Inquisizione creava un clima di terrore, ed era uno strumento di controllo, ma anche di guadagno per la Chiesa e gli inquisitori. Non solo donne ma, come abbiamo raccontato in un articolo precedente su Quilianonline, anche uomini venivano accusati di stregoneria e pratiche esoteriche. Oggi, grazie al prezioso contributo dello […]

Incantesimi, superstizioni, stregonerie. Un tempo l’Inquisizione creava un clima di terrore, ed era uno strumento di controllo, ma anche di guadagno per la Chiesa e gli inquisitori. Non solo donne ma, come abbiamo raccontato in un articolo precedente su Quilianonline, anche uomini venivano accusati di stregoneria e pratiche esoteriche.
Oggi, grazie al prezioso contributo dello storico finalese Giuseppe Testa, riportiamo un’altra storia contenuta negli archivi storici dell’inquisizione e risalente all’anno 1551. Si tratta dell’indagine per stregoneria contro Geronima Picasso di Quiliano, una donna che curava per l’epoca con sistemi esoterici.

 

SABRINA ROSSI

 

Bartolomeo Cepone (trascritto nel documento ufficiale anche come “Caponi”) della parrocchia di San Michele di Quiliano, odierna frazione di Montagna, si presentò davanti al vicario della Curia di Savona per la morte di suo figlio di quattro mesi, Giovanni Pellegrino, avvenuta qualche giorno prima. Fece presente il suo sospetto, ovvero che la causa della morte del figlio sarebbe stata di Geronima, moglie di Michele Picasso che abitava fuori Savona. La donna, che già aveva curato l’altro figlio di Bartolomeo con sistemi esoterici, disse che non avrebbe mai visto i suoi figli crescere finché fossero vissute tre donne del paese, Benedetta, Andriola e Mariola. Bartolomeo dichiarò che sentì dire in giro che Mariola era una strega e che proprio lei, un tempo, lo avrebbe minacciato dicendogli: “Io te la farò pagare”.
Per dovere d’ufficio Geronima venne interrogata e le venne domandato se, nel passato, avesse curato il figlio di Bartolomeo e con quali cose abbia prestato soccorso; rispose di averlo curato con erbe: erba betonica, rosmarino, valeriana, erba cocca, fronde di frassino, salvia, edera, asparago, fronde di canna e fronde di vite. La donna era evidentemente una guaritrice con conoscenze di erboristeria, ma un po’ troppo incline alla chiacchiera e alla maldicenza; infatti, una delle donne che lei accusò di stregoneria, la denunciò per calunnia.
Alcuni giorni dopo l’interrogatorio di Geronima, Benedetta di Santa Cecilia moglie di Giovanni di Quiliano, si presentò davanti al vicario ed espose come Geronima, indotta dallo Spirito Malvagio (il diavolo) non tenendo Dio davanti agli occhi l’avesse infamata davanti a molti uomini e donne dicendo: “E’ sempre stata e sempre sarà strega”. Affermò poi di voler provare questa diffamazione con molti testi. La donna chiese per Geronima un castigo e una pena da esempio per tutti, in modo che in futuro altri non osassero più dire o presumere tali cose.
Il vicario accolse la richiesta di Benedetta e la invitò a citare i testi, ma solo dopo aver ricevuto il consenso del marito. I testimoni vennero convocati per il venerdì successivo all’ora terza (le 9 del mattino), pena la scomunica.
Il giorno stabilito Giacomo Cepone, forse un parente di Bartolomeo, venne chiamato a testimoniare. Durante l’interrogatorio, gli venne chiesto se fosse vero che Geronima avesse detto tali parole: “Benedetta è quella che vi fa tutto il male ed è istigata da altre persone, ed è lei che vi fa morire tutti i vostri figlioli”. Giacomo rispose di aver ammonito la stessa Geronima di non dire certe cose se non fossero state vere; a quel punto Geronima ribatté: “Pensi che io direi queste cose se non fossero vere?”. Giacomo le chiese allora se avesse dei sospetti anche su Mariola, moglie di Marco Gioanettino.
Successivamente venne sentita anche la moglie di Giacomo e, secondo le solite formule di giuramento, le chiesero se avesse mai sentito dire da Geronima che Benedetta fosse una strega. La donna rispose di aver sentito da Geronima: “Finchè vive Benedetta tu e tua sorella non alleverete mai figlioli”, e in effetti questo, secondo lei, era vero. Venne ascoltata anche una certa Bianchina che confermò quanto detto nei confronti di Geronima; inoltre le disse di non mangiare alcuna vivanda preparata da Benedetta, ma di farla mangiare ai cani o ai maiali, affermando anche che quando si ammalò il figlio di Giacomo, Benedetta e altre, prepararono una polvere di rospo e scorpione che, gettata sul bambino, ne causò la morte dopo pochi giorni. E forse fece morire anche la sua bambina Batina, perché sempre Geronima affermò che il giorno che morì la bambina Benedetta arrivò in modo da non farsi riconoscere.
Nei giorni seguenti Geronima venne nuovamente interrogata, ma negò di aver dato a Benedetta della strega. Il vicario però decise di incarcerarla per il tempo necessario ad approfondire e cercare altri indizi.
Geronima si sottomise alla pena promettendo di attenersi alla legge, ma un certo Vincenzo Salomone pagò per lei una cauzione di cento scudi per la scarcerazione.

Purtroppo non ci sono altri documenti ma è presumibile che il processo sia terminato senza gravi conseguenze per Geronima. E’ evidente che spesso accusare qualcuno per stregoneria poteva essere pericoloso all’epoca, infatti se non si avevano prove certe e si trattava solo di maldicenze, l’accusa per diffamazione poteva essere altrettanto grave.

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