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MELIN, LA VOCE DELLA VALLE

Le campane avevano un suono riconoscibile e, secondo l’ora e i rintocchi,  parlavano alla gente spersa per le campagne. Oggi è tutto differente e persino l’uso e l’abitudine di fare riferimento a quel suono si è stemperato. Una volta era centrale. Ed è per quello che quell’atmosfera e quei riferimenti risvegliano sentimenti e memorie assopite. […]

Le campane avevano un suono riconoscibile e, secondo l’ora e i rintocchi,  parlavano alla gente spersa per le campagne. Oggi è tutto differente e persino l’uso e l’abitudine di fare riferimento a quel suono si è stemperato. Una volta era centrale. Ed è per quello che quell’atmosfera e quei riferimenti risvegliano sentimenti e memorie assopite. E così anche chi, come il campanaro, svolgeva un ruolo apparentemente secondario ma di riferimento per tutti. Perché tutti, a qualunque ora del giorno, avvertivano e comprendevano il suo messaggio. Il campanaro era la voce della vallata. Un ricordo e una poesia ci riportano indietro nel tempo e ci fanno rivivere sensazioni dimenticate o perdute.

CLAUDIA AVOGADRO

Ricordi il suono delle campane?

Chi non ha avuto un momento di malinconia ascoltando il suono delle campane? Magari ricordando i tempi passati?

Il suono delle campane accompagnava la vita nelle nostre campagne quando l’uso dell’orologio era riservato ha pochi; l’Ave Maria all’alba invita hai lavori nei campi, a mezzogiorno al desinare, alla sera al meritato riposo. Indicava la fine di una vita e, alla domenica, il giorno di festa.

Il servizio di suonare le campane era affidato al sagrestano che oltre a questo importante compito, si occupava anche della pulizia e della sorveglianza della Chiesa.

Nella nostra parrocchia Sant’Anna e San Gioacchino, di Cadibona abbiamo avuto un buon numero di campanari residenti nella casa parrocchiale e non sono mancate le donne campanaro.

Ma oggi voglio ricordare un campanaro speciale: il suo nome era Giovanni Tessitore nato nel 1876 e morto nel 1959. Solo pochi di voi hanno avuto la possibilità di conoscerlo, ma il suo nome, anzi il suo soprannome e vivo nei ricordi di molti: ö Melin.

A questo nostro campanaro forse per le sue qualità o per un ricordo infantile e romantico è dedicata una poesia di Giulio Agostino Sguerso, scritta in dialetto savonese.

O’ Melin, il campanaro Giovanni Tessitore
Ö MELIN

Quando ö giova cô-a sacchetta da limoxina, pe a Messa grande, e ö a fova ûn po’ scolla pe riciama a-ö

soêu dovei tûtti fedeli, ö continuova a canta, pe risponde a-ö Ciô, a-ö   sciö Piö o a-ö sciö Bacciccia, otri

che aveivan anche ‘na bella voxe e che da-ö fondo da giexia i ghe fovan ö controcanto …

Ö l’ea ûn bravommo, ö Melin, e, tante votte ö me lasciova tia a corda da campann-a grande, a seia, pe i “dan dan” dell’Angelus, che se perdeivan zu in ta valle do Lavanestro pe di a gente che a giorna a l’ea finia e besognava di ûn Ave a Madonna pe ringraziola da giurna che l’ea passo sensa danno.

Ö MELIN

Quando girava con la sacchetta della elemosina durante la Messa cantata la faceva un po’ scrollare per

richiamare al proprio dovere tutti i fedeli, e continuava a cantare per rispondere a ö Ciô, a-ö   sciö Piö o a-ö

sciö Bacciccia altri che avevano anche una bella voce e che dal fondo della Chiesa facevano il controcanto.

Era un bravo uomo ö Melin, e tante volte mi lasciava tirare la corda della campana grande, alla sera, per il “dan dan” dell’Angelus, che si perdeva giù nella valla del Lavanestro, per dire alla gente che la giornata era finita e bisognava dire una Ave alla Madonna per ringraziala della giornata passata senza danno.

Una poesia semplice, che ci rende orgogliosi di un uomo che svolgeva un lavoro tanto utile per nostra comunità.

Lo ricordiamo insieme hai nipoti e pro nipoti.

 

 

 

 

 

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