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L’AUTOCOSCIENZA DI ZENO

Italo Svevo ebbe fama postuma in Italia, travagliata fu la strada per la pubblicazione dei suoi romanzi, in special modo “Una vita” e “Senilità” rifiutati da alcune case editrici e accolti successivamente, il primo a spese dello stesso autore, il secondo soggetto a revisione. LUCA NONNE I romanzi hanno in comune il medesimo tema centrale, […]

Italo Svevo ebbe fama postuma in Italia, travagliata fu la strada per la pubblicazione dei suoi romanzi, in special modo “Una vita” e “Senilità” rifiutati da alcune case editrici e accolti successivamente, il primo a spese dello stesso autore, il secondo soggetto a revisione.
LUCA NONNE
I romanzi hanno in comune il medesimo tema centrale, l’inettitudine dell’uomo moderno, la paralisi esistenziale che porta ad un “guardarsi vivere” (tema già pirandelliano) più che agire attivamente nelle propria vita.
Tuttavia c’è un’ evoluzione significativa fra i primi due e l’ultimo romanzo, scritto a circa venticinque anni di distanza.
Alfonso Nitti ed Emilio Brentani, protagonisti delle prime opere, sono due inetti inconsapevoli, non riescono ad inserirsi, come detto, in modo operante e attivo nella propria vita, incapaci di modificare la loro realtà, ma soprattutto non sanno riconoscere e accettare questa verità; mentono, si ingannano, mettono in scena un complesso di autogiustificazioni e alibi per nascondere e non affrontare la propria inettitudine a vivere.
Zeno Casini, protagonista del romanzo più noto di Svevo, è psicologicamente più ricco, verte nell’analoga condizione dei primi soggetti, ma è consapevole della propria inettitudine, e arriverà a una piena autoconsapevolezza. Un altro elemento narrativo del romanzo è proprio questo svelamento: il bisogno di svelare tutti gli autoinganni che ci raccontiamo in funzione di una sorta di fuga psicologica dalla realtà.
Altra significativa differenza riguarda lo stile: il nuovo periodo storico, sotto l’influsso della prima guerra mondiale, porta a chiudere con una narrazione positivista e apre a nuove tematiche e ricerche stilistiche; una delle principali influenze sarà infatti James Joice (che fu oltretutto il maestro di inglese di Svevo, nonché suo amico e sostenitore delle sue opere) da cui riprende la tecnica del monologo interiore e del flusso di coscienza; il romanzo inoltre oscilla continuamente fra passato e presente seguendo i ricordi, prendendo spunto anche da Marcel Proust.
Fra le altre influenze si rintracciano certamente Freud, per l’esplorazione dell’inconscio, che gli fornisce ottimi strumenti per creare i suoi personaggi e raccontare la malattia. Darwin, da cui riprende il concetto della vita come lotta per la sopravvivenza che vede necessariamente vincitori e vinti, o “lottatori e contemplatori” per dirla nella grammatica di Shopenhauer, altro punto di riferimento dell’autore.
La tematica più importante de “La coscienza di Zeno” tuttavia, nonché sostanziale differenziazione dai primi lavori, sta nel ribaltamento dei ruoli riguardo il discorso sulla “malattia”.
Chi è davvero sano e chi malato?
Svevo si pone in modo fortemente critico nei confronti della borghesia, le cui certezze sono del tutto esteriori e vuote, chiusa in un alienante materialismo, e descrive con minuziosa astuzia la psicologia del borghese dei primi 900, il cui ruolo sociale peraltro vien sempre più a marginalizzarsi.
L’inetto quindi diventa concettualmente l’unico sano in una società malata, perché l’unico in grado di vedere le cose in modo lucido e disincantato, in grado di svelare i propri autoinganni e che non riesce ad adeguarsi alla superficialità che il mondo gli richiede.
Uno dei romanzi più importanti dell’Italia del 900, che mescola bene varie correnti di pensiero senza contraddirsi e con uno stile ormai pienamente moderno.
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