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LA BANDIERA DI LEANDRO

Leandro Borasio, l’antifascista quilianese che salvò la bandiera del Pci di Quiliano dai fascisti, la portò con sé in esilio in Francia e la riconsegnò ai compagni alla fine della guerra. «A voi l’affido perché la custodiate come per anni l’ho custodita io», disse. Il nipote Danilo Costanzo ha voluto raccontare a Quilianonline l’intera vicenda […]

Leandro Borasio, l’antifascista quilianese che salvò la bandiera del Pci di Quiliano dai fascisti, la portò con sé in esilio in Francia e la riconsegnò ai compagni alla fine della guerra.
«A voi l’affido perché la custodiate come per anni l’ho custodita io», disse.
Il nipote Danilo Costanzo ha voluto raccontare a Quilianonline l’intera vicenda che, per lui, ha sempre rappresentato un ricordo di famiglia.

MARCO OLIVERI
Leandro Borasio a Nizza
in una foto degli anni 60

Leandro doveva salvarla, quella bandiera rossa. I fascisti si erano già presi il suo occhio, che, nel maggio del 1922, gli avevano cavato durante un pestaggio. In agosto, si erano presi anche il Comune di Quiliano, dove Leandro, nel 1921 era stato vicesindaco, assessore e consigliere. Non potevano avere anche la bandiera del Partito Comunista Italiano, a cui Leandro aveva aderito da subito, l’anno precedente, diventando uno dei punti di riferimento della sezione quilianese.
Così, quando gli squadristi avevano preso di mira i simboli delle ideologie diverse dalla loro, di quella bandiera si erano dovuti accontentare di bruciare soltanto l’asta. Il vessillo, infatti, non lo trovarono.

L’aveva portato con sé, Leandro Borasio, quel simbolo, perché difenderlo era un dovere. Un simbolo che sarebbe rimasto con lui ancora per molto tempo: il 19 settembre dello stesso anno, quando l’allora 24enne quilianese, operaio nichelatore, fervente socialista rivoluzionario e comunista della prima ora, decise di emigrare clandestinamente in Francia, per sottrarsi ai soprusi del regime; durante la permanenza a Nizza, dove venne presto raggiunto dalla famiglia e dove poi trascorse il resto della sua vita; alla fine della guerra, quando decise di riportare la bandiera a casa, nel luogo a cui apparteneva, a garrire libera nel vento di Quiliano.

Leandro Borasio l’aveva promesso a sé stesso, nei lunghi anni in cui aveva nascosto e gelosamente custodito il vessillo in luoghi sicuri. Così, dopo la Liberazione, l’esule antifascista, che sempre si sentì figlio della terra ligure, tornò a Quiliano per riconsegnare ai compagni quella bandiera rossa che, come lui, aveva conosciuto l’esilio.
«Ho contato i giorni e le ore ed ho affrettato con il pensiero questo momento nel quale avrei potuto riportarla a voi – disse Borasio, nel discorso pronunciato in occasione della consegna della bandiera al Pci quilianese – a voi, quindi, oggi, la restituisco, a voi l’affido perché la custodiate, son certo con la stessa cura e con lo stesso amore coi quali per lunghi anni l’ho custodita io».

Una storia che, per Danilo Costanzo, nipote di Leandro Borasio, rappresenta un ricordo di famiglia: «Zio Leo era fratello del mio nonno materno – ricorda il discendente, che ha deciso di raccontare l’intera vicenda a Quilianonline e che oggi abita a Milano ma è originario di Savona, città con cui è ancora strettamente legato – di lui, mi sono rimasti impressi l’occhio di vetro, la severità e l’austerità, tipiche degli uomini anziani di un tempo, ma, nel contempo, l’umiltà e la grande umanità».

Quiliano, invece, la rivede con gli occhi di un bambino che va a trovare i parenti: «La numerosa famiglia dei miei nonni Borasio ha abitato fino al 1965 a Valleggia, in via Foscolo, al confine tra Vado Ligure e Savona, proprio di fronte al ponte dei Saraceni – continua Costanzo – erano persone coraggiose, mia mamma Rosa, classe 1916, fu staffetta partigiana, mentre sua sorella, mia zia Rina, che all’epoca della Liberazione aveva 18 anni, diventò in seguito una storica maestra del Quilianese».

Il nipote ebbe modo di osservare dal vivo l’ormai famosa bandiera dello zio Leandro: «La vidi nel 1971, durante le celebrazioni per i 50 anni del Partito Comunista Italiano al teatro Chiabrera di Savona – conclude Danilo Costanzo – era vecchia e sdrucita, ma spero che esista ancora e che qualcuno, sul territorio, abbia conservato questo cimelio».

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