Durante l’anno vi sono alcune notti considerate sacre, o magiche: la notte tra il 23 e il 24 giugno è una di queste. E le erbe raccolte alla mattina di San Giovanni, come la rugiada di quelle ore, sembrano avere poteri magici, significativi e inusuali.
LAURA BRATTEL
Ogni anno, in corrispondenza del solstizio d’estate, mi ritrovo a compiere azioni che considero abituali e normali. In realtà, soffermandomi a riflettere su alcune di esse, è sorprendente quanto possano considerarsi riferibili ad antichi e misteriosi rituali dal significato simbolico, che rinviano a un senso primordiale del sacro.
La raccolta di erbe la mattina del giorno di San Giovanni è uno di questi.
Ancora una volta, entrando nel discorso sulle erbe, si parla di storie di donne. Per me, le “mie” donne sono mia madre, le mie zie e mia nonna. Con la sottoscritta, fanno tre generazioni di raccoglitrici, discendenti di innumerevoli altre generazioni femminili, che via via ebbero modo di verificare e tramandare conoscenze acquisite nel corso del tempo.
Come la mia famiglia, esistono molte altre famiglie nelle quali è tradizione per le donne “andar per erbe” in determinati periodi dell’anno. In primavera si va per prati a raccogliere le verdure selvatiche per farne il “prebuggiùn”, l’ottima miscela che ben si presta a diventare ripieno per pansotti, ravioli o saporite torte salate, ma l’estate è dedicata essenzialmente alla medicina popolare, alle “erbe che curano”.
INIZIA L’ESTATE E IL SOLE SI FERMA
Il 21 giugno cade il solstizio d’estate. Il sole si trova esattamente allo zenit del Tropico del Cancro, nel punto massimo del suo culmine. Per il nostro emisfero boreale si tratta del giorno più lungo dell’anno e della notte più breve. Il 21 giugno è data indicativa ed approssimativa, differente per orario ogni anno, in quanto va calcolata in base alla rotazione dell’asse terrestre. Quest’anno, 2020, lo zenit verrà toccato alle ore 23.43 del giorno 20 giugno.
Da quel momento in poi, per alcuni giorni, il sole pare “fermarsi”, o “sostare” nel cielo, per cui esegue lo stesso tipo di rotazione attorno all’asse terrestre, regalandoci giornate lunghe e luminose. Per questo motivo lo chiamiamo “solstizio”, dal latino “sōl”, sole, e “sistĕre”, cioè “fermare, arrestare, impedire di avanzare, trattenere”, con significato transitivo, e anche “stare, porsi, poggiare, posarsi, arrestarsi, fermarsi” con significato intransitivo. Il sole si ferma, per così dire, a contemplare la Terra, la bacia, la nutre, reca conforto, regala calore.
FIORI E PIANTE SFRUTTANO IL CALORE
E chi meglio delle piante può essere in grado di sfruttare questo calore? Le creature del regno vegetale, questi straordinari laboratori chimici in grado di sintetizzare sostanze complesse, che per noi sono cibo e medicina, si attivano al massimo della loro potenzialità.
In realtà il periodo balsamico delle varie specie officinali, cioè il momento in cui la pianta presenta il maggior contenuto di principi attivi, varia in base all’andamento climatico, all’esposizione del terreno in cui si trova, alla specie in oggetto, ma indicativamente per diverse di esse questo periodo lo si può indicare con l’inizio dell’estate.
Per gli esseri umani, da sempre affascinati da numeri e simboli (lo stesso linguaggio che usiamo non è che un simbolo, riflesso arbitrario ed impreciso della nostra realtà), le date e gli eventi astronomici sono altamente significativi: ecco dunque l’importanza della data del 21 giugno quale giorno del solstizio e quella del 24 giugno, giorno in cui il sole torna a muoversi, per declinare lentamente verso quello che sarà il solstizio d’inverno.
FUOCHI E FALÓ, IL 24 DATA RITUALE
La notte dal 23 al 24 giugno venne presa a simbolo di vigoria e rinascita, punto massimo dello splendore della Natura e del sistema solare. Ad essa erano legati rituali dal significato profondamente religioso, elaborati dai nostri antenati più antichi, che provavano un senso di stupore e meraviglia di fronte ad eventi per loro inspiegabili dal punto di vista scientifico.
Di questa antichissima religiosità restano i riti dei falò o dei fuochi d’artificio, quelli legati al culto delle acque e quelli relativi alle essenze medicamentose.
Il fuoco, collegato simbolicamente al sole, e l’acqua, fonte di vita, diventano in questa notte gli elementi principali di una sacralità ancestrale.
La religione cristiana che subentrerà al paganesimo farà poi sue le giornate sacre di quei popoli, e quindi il giorno del 24 giugno verrà dedicato a San Giovanni, il Battista, colui che purifica ed attua opera di redenzione e rinascita.
I rituali pagani però restano, ora intrisi di una nuova religiosità, ora divenuti semplici gesti consueti, riferibili a qualcosa di ormai misterioso ed incomprensibile.
RITI PAGANI ORA DIVENTATI RELIGIOSI
Ricordo che durante la mia infanzia mia nonna ci faceva alzare all’alba per andare a cogliere rametti di iperico. I fiori gialli, dorati come il sole, messi a macerare in olio d’oliva avrebbero conferito al preparato un colore rosso intenso, come il sangue versato da San Giovanni, quando venne decapitato dal malvagio Erode.
Il rametto con la sommità ben fiorita doveva essere staccato con un taglio netto, spezzandolo o incidendolo a metà con un coltellino. In tal modo era quasi come attuare una sorta di “potatura” della pianta, che avrebbe così avuto ancora la forza di ricacciare nuovi getti laterali e portarli a fioritura.
L’oleolito così ottenuto sarebbe stato usato nel corso dell’anno come rimedio contro le scottature, le ustioni e gli eritemi solari, ma anche per far rimarginare ferite (purché fossero perfettamente pulite). In seguito è stato scientificamente dimostrato che l’iperico ha effettivamente proprietà cicatrizzanti ed antisettiche, dovute a sostanze quali l’ipericina e i bioflavonoidi, in grado di favorire la rigenerazione cellulare, stimolando anche la microcircolazione sanguigna.
LA RUGIADA E LE ERBE DI SAN GIOVANNI
Mentre di solito le erbe officinali si raccolgono quando sono perfettamente asciutte (“Mai toccare un’erba bagnata!”, raccomandava con forza mia nonna), le erbe di San Giovanni, eccezionalmente, vanno colte il mattino all’alba, prima del sorgere del sole, ancora intrise di rugiada.
Si legano, si appendono con i capolini all’ingiù, si fanno asciugare e poi si mettono nell’olio. La rugiada mattutina del 24 giugno era considerata sacra e portatrice di ogni bene.
Molte sono le credenze legate a quella rugiada. Presso certe popolazioni è usanza per le donne rotolarvisi completamente nude, per favorire la fertilità e il benessere durante tutto l’anno.
Nei nostri luoghi l’acqua di San Giovanni va raccolta con ogni mezzo: dalle foglie delle piante, stendendo grossi teli, da recipienti e catini. Va utilizzata nel corso dell’anno, con parsimonia, per i casi di bisogno: quale antirughe, per riti legati alla fertilità, per la propria salute e il proprio benessere.
Mia nonna esponeva alla finestra una bottiglia dal collo largo piena d’acqua, così la rugiada avrebbe potuto posarvisi, e la mattina faceva bere un bicchiere di quell’acqua ad ogni componente della famiglia. Avrebbe aiutato ciascuno a stare bene nel corso dell’anno.
Consigliava anche di camminare scalzi per i prati, all’alba del 24 giugno, per favorire un benessere generale. Credenze o rituali a parte, posso testimoniare che non c’è nulla di più bello e rilassante del contatto tra la pianta del piede e l’erba fresca e morbida.
PIANTE RITUALI E SIMBOLICHE
La mattina di San Giovanni, all’alba, mia nonna raccoglieva anche i semi dell’olmo, le samare. Ricordo che ve n’era una pianta magnifica non distante dalla casa. Sovente sostavo in contemplazione sotto la sua ampia chioma, che mi forniva un’ombra protettiva.
In effetti anche l’olmo è pianta simbolica, al pari dell’iperico. Dotata veramente di proprietà cicatrizzanti, depurative, disinfiammanti e toniche, l’olmo rappresenta la protezione ed il sostegno. Anticamente l’olmo veniva usato quale albero di supporto per i tralci della vite, quindi rientra nella simbologia cristiana come precursore e difensore del Cristo, raffigurato invece dalla vite (“Io sono la vite, voi siete i tralci.”, Gv, 15, 5). In questo senso pure l’olmo fa riferimento all’opera del Battista nei confronti di Gesù Cristo (“Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.”, Mt, 11, 10). Con lo stesso significato simbolico lo troviamo nell’araldica medievale.
Un’altra erba che le donne della mia famiglia raccoglievano a San Giovanni era la ruta.
Se ne prendeva un rametto prima della fioritura e lo si metteva in alcool o grappa, per usare la bevanda a scopo terapeutico. In particolare se ne sfruttavano gli effetti sedativi, per ridurre l’ansia e favorire il buon riposo. Le dosi dovevano essere estremamente ridotte: mia nonna ci metteva in guardia dagli esiti tossici di questa pianta. Effettivamente la ruta contiene alcaloidi velenosi che possono avere proprietà abortive; se assunta in quantità eccessiva può provocare disturbi e danni di varia natura, da mediamente gravi fino a diventare addirittura letali.
LA RUTA DALLA GRAPPA AGLI SPIRITI MALIGNI
Da bambina ricordo che mi facevano solo annusare questo preparato a base di ruta.
Simbolicamente la ruta ha la funzione di erba scacciaspiriti: già Aristotele ne consigliava l’uso a tal proposito. Il Cristianesimo riprese questa simbologia, per via dei fiori a forma di croce.
Queste sono le erbe di San Giovanni che si raccoglievano nella nostra vallata quilianese all’alba del giorno dedicato al santo.
Altrove, in Italia, esistono anche altre tradizioni di raccolta: in Sardegna si raccolgono il verbasco, il timo e l’asfodelo, come suggerisce Grazia Deledda; in altri luoghi i riti si concentrano sulle aromatiche quali l’alloro, la salvia e il rosmarino, piante dalle spiccate virtù antibatteriche ed antinfiammatorie, note da sempre nel Mediterraneo.
Ovunque, queste piccole storie di donne raccoglitrici parlano di una società rurale con un grande senso di rispetto e di cura verso l’ambiente dove si vive e verso il prossimo. Ricordare e tramandare questo enorme bagaglio culturale e sociale lasciatoci dalle generazioni passate credo sia un doveroso gesto di affetto verso chi ci ha preceduti e ci ha amati.
La ricetta dell’oleolito di iperico
– due o tre sommità fiorite di iperico
– olio extra vergine di oliva quanto basta
Raccogliere le sommità fiorite dell’iperico e metterle capovolte in un vaso di vetro. Coprire di olio extra vergine di oliva in quantità sufficiente. Chiudere il recipiente ed esporre alla luce del sole per 40 giorni. Quindi filtrare e conservare l’oleolito in vasetti di vetro, in luogo riparato, fresco ed asciutto.
ATTENZIONE ALLE MACCHIE
Vi è un’importante controindicazione da tener presente per l’utilizzo dell’oleolito di iperico. I principi attivi presenti in questa pianta hanno effetto fotosensibilizzante, per cui non si dovrà mai usare questo olio prima dell’esposizione della pelle alla luce solare, pena la formazione di antiestetiche macchie sulla cute.
Tale effetto può essere di maggiore rilevanza per soggetti a pelle chiara, con capelli e occhi chiari. Le macchie che rischiano di formarsi possono impiegare poi parecchio tempo per scomparire.
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