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LE MAGIE DEL PRETE

QUILIANO AI TEMPI DELL’INQUISIZIONE (2)   Non solo donne, ma anche uomini all’epoca della Santa Inquisizione erano a conoscenza di antiche pratiche esoteriche e guaritrici. Pratiche che venivano tramandate di generazione in generazione, oppure donate a una persona di fiducia. Se scoperti di farne uso, venivano accusati, interrogati, costretti a pagare una multa e, in […]

QUILIANO AI TEMPI DELL’INQUISIZIONE (2)

 

Non solo donne, ma anche uomini all’epoca della Santa Inquisizione erano a conoscenza di antiche pratiche esoteriche e guaritrici. Pratiche che venivano tramandate di generazione in generazione, oppure donate a una persona di fiducia. Se scoperti di farne uso, venivano accusati, interrogati, costretti a pagare una multa e, in molti casi, torturati fino alla morte.

Per tutti i lettori di Quilianonline, grazie alle ricerche dello storico finalese Giuseppe Testa, ecco un’altra storia di Inquisizione. Una storia proveniente dall’Archivio Storico Diocesano di Savona – Noli (Criminalium Filza) risalente al 1574 e che riguarda il procedimento contro il prete Giovanni de Martinis, abitante di Valleggia, per il sospetto uso di pratiche esoteriche.

 

SABRINA ROSSI

 

 

“Galileo di fronte al Sant’Uffizio”, Joseph-Nicolas Robert-Fleury

Nell’ottobre del 1574 venne interrogato il vice rettore della chiesa di san Salvatore di Valleggia, Giovanni De Martinis, su come curasse la febbre terzana e quartana. Questo tipo di febbre, che si manifesta con una temperatura che sale di colpo con brividi e dura un giorno per poi scomparire e ripresentarsi il terzo e quarto giorno, è una febbre tipica della malaria. Chiamata anche “paludismo”, la malaria è una malattia provocata da parassiti; ha un quadro clinico di malattia febbrile acuta che si manifesta con segni di gravità diversa a seconda della specie infettante. I vettori della malattia sono le zanzare Anopheles. Il prete iniziò a raccontare la sua storia e di come fosse diventato guaritore, fatto risalente a parecchi anni prima quando si trovava in Provenza. In quei tempi frequentava un vecchio eremita, con cui un giorno incontrò un mugnaio, il quale aveva la febbre molto alta. L’eremita, vedendo tremare il pover’uomo, chiese se potesse fare qualcosa per lui. Egli rispose che desiderava guarire, se questa fosse stata la volontà di Dio. Preso dalla compassione, il vecchio eremita rispose: “Certo io non ve la posso dare, perché solo Dio può, ma se porterete al collo il “breve” che vi scriverò, per nove giorni, guarirete. In questi nove giorni dovrete dire cinque Ave Maria, cinque Padre Nostro a lode e gloria delle cinque piaghe di Gesù, di san Pietro, san Martino e santa Genoveffa e così guarirete”. Nel “breve”, una striscia di carta, pergamena o stoffa dove venivano scritte preghiere o conservati oggetti dai poteri taumaturgici, erano scritte queste parole:

Jesus Deus, Deus Abraam,

  Deus Jsaac, Deus Jacob, io te

  comando per vertù de queste

  sante parole, febre continua quotidiana

  terzana ovvero quartana come si

  sia, che tu non tenghi huomo

  ne donna che porterà questo

  santo nome sopra de sé

 

L’INIZIAZIONE MAGICA NELLA NOTTE DI NATALE

Raffigurazione della scuola medica medievale

L’interrogatorio di De Martinis proseguì, con la domanda se anche lui fosse in grado di guarire la gente pronunciando certe parole e dove ciò fosse avvenuto. Il prete rispose di averle usate in Provenza e in molti altri luoghi. Risultava evidente che l’anziano eremita avesse insegnato la pratica esoterica a de Martinis. Infatti, secondo la credenza popolare, chi possedeva il dono del guaritore, sceglieva una persona di fiducia alla quale lasciare in eredità tale dono. Questo passaggio generalmente avveniva in un momento particolare dell’anno, ossia la notte di Natale. Durante questa notte che veniva ritenuta “magica”, i veli tra i due mondi, quello terreno e quello ultraterreno si assottigliavano venendo in contatto tra loro e le magie potevano essere portate a compimento.

De Martinis dichiarò di essersi in seguito confessato, ricevendo dal suo confessore il consiglio di non esercitare più certe pratiche, perché ritenute un peccato; pertanto, si astenne dal compiere guarigioni per circa 20 anni. Però, confessò anche di aver incontrato recentemente un gentiluomo di nome Manfredo che era il signore di quel luogo (non è chiaro dal documento di archivio a quale luogo si riferisse), il quale gli disse che sapeva dell’esistenza di preti capaci di guarire dalla febbre con pratiche segrete. Il signor Manfredo, non aveva mai sentito dire che lui sapesse guarire, ma nel caso ne fosse stato capace, lo esortava a mostrare le sue doti terapeutiche e a non tenerle nascoste. Da allora, De Martinis riprese a compiere guarigioni, esattamente come gli aveva insegnato il vecchio eremita con le stesse parole e le stesse formule, guarendo almeno cento persone.

GUARIRE: DALLE ANIME ALLA SALUTE FISICA

Ai tempi la figura del prete “guaritore” veniva naturalmente accettata e ricercata. Forse in quanto ministro di Dio, era ritenuto in diretto contatto con la divinità e in grado di fare da intermediario nelle richieste di grazia e guarigione, avendo un canale privilegiato di intercessione col Signore dovuto alla missione esercitata. Inoltre, questi preti erano spesso di estrazione contadina, erano nati e cresciuti a contatto col mondo rurale e quindi a conoscenza di tutte quelle pratiche a volte esoteriche, ma che facevano parte di quella quotidianità e di quei rimedi antichi tramandati attraverso le generazioni.

Specie di Primula veris (foto di Laura Brattel)

Ma l’interrogatorio non era ancora terminato e al prete venne domandato se fosse a conoscenza di rimedi per curare i bambini. A questa domanda rispose: “Quando vedo che li putti sono amalati et non sanno che si abbiano, esso piglia dell’erba chiamata Ambrosiana o sia paralisis et la fa boglire con dell’aqua tanto che quell’aqua sia consumata li doi tersi, poi piglia de detta aqua et ne lava li putti per doe o tre volte, e restano sanati”. Si pensava di aver riconosciuto nella pianta Ambrosiana, l’erba Primula veris, la quale possiede proprietà antinfiammatorie, antispasmodiche e rilassanti del sistema nervoso, oltre che erba diuretica; questo conferma anche le conoscenze erboristiche del prete in questione. De Martinis consigliò poi di controllare le feci dei bambini dopo il lavaggio con le erbe: se le feci erano spesse e andavano a fondo, la guarigione era assicurata, perché “l’aqua ha scarricato il male”.

CURARE CON LE ERBE E CON LE MANDORLE

L’Inquisitore chiese ancora se usasse anche delle parole per curare la febbre. Il prete rispose che faceva prendere all’ammalato tre mandorle, sulle quali scriveva le seguenti parole, sulla prima “Christus natus est”, sulla seconda “Christus mortus est”, sulla terza “Christus resuscitatus est”. L’ammalato ne doveva prendere una ogni mattina, recitando tre Padre nostro, tre Ave Maria in onore della Santa Trinità e così dopo il terzo giorno era raro che l’ammalato non guarisse.

Raffigurazione della dea Eresia

Al termine del processo, De Martinis venne condannato a pagare 25 scudi genovesi da devolvere in opere pie e, inoltre, gli venne imposto che la prima domenica seguente la pubblicazione della sentenza, durante la messa egli dovesse fare pubblica ammenda per essere caduto nella superstizione, incorrendo nel peccato mortale. Successivamente venne condannato a pagare le spese processuali. De Martinis prese atto, ma non accettò la condanna; venne dunque invitato nei successivi giorni a presentare la sua difesa in contestazione a tale processo. Un ulteriore documento riporta che, nonostante la richiesta di assoluzione, l’indagato fu costretto a confessare durante la messa domenicale il suo operato, come richiesto dal giudice.

 

 

 

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