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A SCUOLA DI LIBERTÀ CON GIUSEPPE DELFINO

ANDREA OLIVERI Il ‘nome di battaglia’ era un nomignolo cospirativo e di riconoscimento che doveva adottare chi, tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, decideva di unirsi alla guerriglia partigiana, a scopo di salvaguardare la propria incolumità e quella della propria famiglia da minacce, arresto o rappresaglie di morte da parte degli oppressori nazifascisti. Giuseppe […]

ANDREA OLIVERI

Il ‘nome di battaglia’ era un nomignolo cospirativo e di riconoscimento che doveva adottare chi, tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, decideva di unirsi alla guerriglia partigiana, a scopo di salvaguardare la propria incolumità e quella della propria famiglia da minacce, arresto o rappresaglie di morte da parte degli oppressori nazifascisti. Giuseppe Delfino ne ebbe addirittura due: “Walter” quando operava a Savona (zona Fornaci) nel distaccamento Nello Bovani e “Danilo” poco dopo, quando passò in forza al comando della Quarta Brigata Don Peluffo, presente nella zona di Vado Ligure-Quiliano. Qui assunse il ruolo di commissario politico col grado di tenente fino alla Liberazione: classe 1914, calderaio di professione, Delfino era chiamato ad occuparsi dell’educazione politica e morale degli uomini della Brigata e, compito non meno fondamentale, a curare i collegamenti con le popolazioni civili. Il ruolo di commissario politico veniva assegnato dal Comitato di Liberazione Nazionale a persone ritenute di alta fiducia che sapessero infondere sicurezza e motivazione nei singoli componenti dei reparti e imporre loro una ferma disciplina: cosa non facile, visto che essa non poteva essere impartita come negli eserciti nazionali, in quanto le formazioni partigiane non erano inquadrabili come esercito formale; i singoli volontari dovevano quindi imparare ad essere padroni di se stessi, mediante un’autodisciplina fondata innanzitutto su un solido senso di responsabilità. Il partigiano era chiamato a combattere non solo per scacciare l’invasore tedesco, ma anche per recuperare quella libertà e quella democrazia che erano state negate a lungo dal fascismo, agendo nel rispetto della persona umana, delle idee, della fede e della dignità di ogni uomo o donna e contro chi svolge azioni di banditismo o di sopruso verso le popolazioni. Una vera e propria ‘Scuola di Libertà’ quella che il tenente ‘Danilo’ seppe infondere nei ‘suoi’ giovani sappisti; stesse idee e senso di responsabilità che saranno poi alla base della sua attività di uomo delle istituzioni: Giuseppe Delfino, infatti, sarà chiamato nel dopoguerra a vestire la fascia tricolore e guiderà ininterrottamente dal 1953 al 1962 l’Amministrazione comunale di Quiliano, nelle fila del Partito Comunista Italiano.

FONTI:

G. Patrone, I primi cinquant’anni del Novecento quilianese: Quiliano 1900-1945: scelte amministrative e avvenimenti (Coop. Tipograf, Savona, 2015)

G. Patrone, Il racconto di Luigi, Una storia di libertà e antifascismo quilianese (Coop. Tipograf, Savona, 2016)

R. Bardello, E. De Vincenzi, Savona Insorge (Ars Graphica, 1972)

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