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CIBO BUONO E CACCIATORI DI SOGNI

Sto parlando con un cacciatore di sogni. Il suo. Tutti gli uomini hanno un sogno. Alcuni lo realizzano, altri rinunciano, qualcuno lo idealizza, qualcun altro lo sublima. Il sogno che mi sta raccontando è un nome in dialetto che sembra una lingua remota che arriva dall’altra parte dell’oceano e, invece, nasce qui, così poco distante, […]

Sto parlando con un cacciatore di sogni. Il suo. Tutti gli uomini hanno un sogno. Alcuni lo realizzano, altri rinunciano, qualcuno lo idealizza, qualcun altro lo sublima.
Il sogno che mi sta raccontando è un nome in dialetto che sembra una lingua remota che arriva dall’altra parte dell’oceano e, invece, nasce qui, così poco distante, che quasi lo vedi dalla finestra.
Lui lo pronuncia e subito pensi a una principessa.
“Tonda de Pommu”, ti avvolge e poi ti raggela.
Non è una creatura regale e algida, come verrebbe da immaginare, è invece soltanto una patata. Che, detta così, può anche far sorridere, ma è cosa seria che vanta una storia lunga e misteriosa.
Intanto il sangue blu lo avrebbe perché il suo reame, Pomo, è storia antica, avamposto bizantino di Quiliano che mostrava i muscoli ai Longobardi che sbirciavano dalle colline e, a quel tempo, li irrideva.
“Tonda” però, come tutti i suoi parenti tuberi e patate variamente declinati, era ancora di là dal mare, che la patata, da noi, sarebbe arrivata, in regale in ritardo ovviamente, centinaia d’anni dopo.

Paolo Canepa nel quilianese lo conoscono tutti, è intimo di contadini, frequenta frutta e verdura come Indiana Jones, musei, codici indecifrabili e rovine abbandonate. Lui invece, come agrotecnico della cooperativa Agricola di Valleggia cura il bene delle piante, frutta, ortaggi e verdure, il loro habitat. Studia e si adopera perché rendano il meglio, seguendo le strade del buono e del giusto.
Cura anche che abbiano le possibilità di migliorarsi perché le persone, non solo si siedano a tavola per gustarle, ma poi si alzino senza problemi e lo continuino a fare con soddisfazione e senza rimpianti.

E così come sono nate le epopee della ricerca di città misteriose e ricche di tesori dall’Eldorado a Shangri-La, soltanto seguendo leggende e dicerie raccontate da viaggiatori fantasiosi, studiosi intraprendenti o avventurieri senza scrupolo, anche Paolo Canepa si è imbattuto in una storia che è diventata sogno e lo ha stregato.

Un giorno, in un mercato, non evocativo come quello di Samarcanda, ma qui fra il Quiliano e il Quazzola, è spuntata la storia di “Tonda de Pummo” che non era una principessa del Katai, ma un tubero dalle qualità straordinarie.
Perché una patata così, a suo modo, vale un tesoro.
Ne favoleggiavano i contadini al mercato, ne parlavano gli agricoltori per darsi un tono e suscitare interesse, e tutti ne tracciavano le meraviglie dapprima quasi ostentando, poi con il tempo e non suffragati dalle prove, sottovoce. Solo qualche accenno, senza soffermarsi, con la gestualità della setta e con le allusioni di biscazzieri di informazioni. Insomma, raccontando una saga che non aveva bisogno di pubblico, ma occorrevano più complici che giudici. Allusioni, giri di parole, mai nessuno che sapesse dare al nostro Indiana Jones lo straccio di una prova o un riferimento concreto. Possiamo dirlo (e a maggior ragione visto l’argomento), di quella patata se n’era persa la semenza.

Come mai un tubero poteva suscitare così grande interesse e perché persone serie e stimate come Paolo Canepa avevano iniziato una ricerca che in alcuni momenti è diventata persino un’ossessione?
Oggi che le tavole sono ricche e sovente vengono imbandite anche se non è festa, si presta meno attenzione, ma una volta che la fame era un commensale assiduo, di una costanza pericolosa, sgradito, sempre presente, ogni sistema per combattere il vuoto allo stomaco era ben accetto e gli alimenti che potessero dare nutrimento e placare i morsi erano oggetto di massima cura e attenzione.
Una patata, come si favoleggiava della “Tonda de Pummo”, rappresentava un autentico tesoro. Patata da semina, ogni tubero, come è tipico della sua specie, aveva vari germogli, quelli che in gergo chiamiamo occhi e ognuno di questi diventava una speranza.
Si semina il tubero con i germogli e da lì arrivano i frutti. Ogni gemma, poteva rappresentare oltre due chili di prodotto. E questo significava nella filiera di chi coltiva: ridurre la fame, più raccolto, meno aleatorietà, maggior sicurezza.

La “Tonda de Pommu”, come un monarca di una dinastia scandinava, aveva rinunciato al proprio Dna regale e si era adattata all’ecosistema di queste valli, alle caratteristiche del territorio: il salino davanti, il grecale coperto, molta tramontana e il sole che rende ricca e unica la piana di Quiliano. E poi il terreno saturo di sostanze e unico per caratteristiche e composti.
Insomma, il blasone si era ridimensionato, ma la location non era affatto da disprezzare, tanto che grazie alla sua generosità riusciva ad essere sempre principesca nella produttività riempiendo campi, zolle, ceste e soprattutto i sogni di chi la produceva.
Il tempo è un giudice bizzarro, mutano le culture, si trasformano soprattutto i gusti, non sono arbitri le necessità, ma le mode, diventate le nuove e discutibili protagoniste delle favole moderne. Re e principesse resistono sbiaditi solo sui rotocalchi, figuriamoci una patata, anche se ha un nome suggestivo. Il tempo, la macina delle consuetudini, hanno cancellato la produzione, i campi hanno avuto altre destinazioni, e la “Tonda de Pommu”, in un Termidoro alimentare, ha perso il suo ruolo e il suo prestigio rimanendo soltanto nelle retrovie mnemoniche di qualche vecchio agricoltore e, ahimè, sparendo dalle labbra della gente sia come sapore sia come memoria da tramandare.

Precipitata nel dimenticatoio, come tutte le storie e le meraviglie favoleggiate nel passato. Ma quando l’Indiana Jones dei semi nostrani, Paolo Canepa, ne ha udito parlare, ha sentito nascere un sogno, e così ha iniziato a inseguire le mezze frasi e le indicazioni sottovoce di chi temeva il ridicolo e si mascherava come se l’argomento fosse vietato o sacrilego.
Paolo Canapa non demordeva, sognava forse un altro colpo come quello delle patate quarantine che avevano dato nuova linfa al mercato genovese ed ora sono ambite su tutte le tavole, anche quelle prestigiose, per accompagnare trenette al pesto, trippe e stoccafisso.
Che l’aristocrazia, oggi, si nutre di quello che una volta piaceva ai poveri e che i poveri, oggi, non possono più permettersi.

Il sogno è una costante, che cresce, si stempera, qualche volta, come in una danza, si sposta di lato, finge di fuggire e poi si ripropone. Il sogno può essere venale, oppure di potere o di prestigio, ma se il sogno è una malinconia, un sapore passato, un fermare il tempo, non è più sogno, ma malattia, dolce ossessione e allora diventa duro, ogni giorno, fare i conti con una cosa che credi di toccare con una mano e poi ti sfugge, svanisce come il fumo.
Così Paolo Canepa, che ha bussato a ogni porta di contadino della vallata e ha frugato in ogni ricordo di produttore e commerciante, non ha rinunciato alla speranza di imbattersi nella sua regina, ma l’ha trasformata in una lezione. E anche se non desiste sul sogno, che è quello di recuperare semenze che stanno scomparendo e un giorno o l’altro spera sempre di imbattersi nella “Tonda de Pommu”, ha iniziato a lavorare con intensità per rianimare le essenze in agonia. Quelle, che recuperate, possono avere sicurezza di mercato e qualità strutturali, organolettiche e alimentari che ad esse garantiscano un passaporto per l’eternità e al pubblico nuove varietà per la tavola e la dieta.

Così l’orecchio sempre attento ai refoli di vento che gli parlano della patata antica che riempiva le ceste, sta lavorando con l’assessore Cinzia Pennestri per creare una nursery dedicata al cavolo di Valleggia, una vetrina in un posto magico e coinvolgente come San Pietro dei cavoli (se non qui dove…), sotto gli albicocchi come facevano i nostri vecchi che sfruttavano ogni metro di terra. Questo cavolo (sono ancora le leggende che parlano, ma qui appaiono più fondate), ha la prerogativa di essere proprio e soltanto di queste parti, di Quiliano-Valleggia ed ha fiori e fragranze degne davvero di un re. Soprattutto, sebbene scarso di numeri, esiste ed è ben presente ed ha già un suo coté di ammiratori e followers.
Il suo posto nell’arengo della nobiltà delle verdure se l’è già trovato senza dover neppure lottare. Ora deve garantirsi uno spazio sia fisico sia culturale dove emergere, diffondersi e trionfare.
Indiana Canepa gli sta preparando la strada.

D’altra parte, se le leggende dicono che i bambini nascono sotto i cavoli, possiamo anche cominciare a credere che i cavoli possano nascere sotto un sogno.

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