Castagne, essiccatoi, conservazione. Un tempo anche a Quiliano, quando la vita contadina era molto più intensa, si sfruttavano maggiormente erbe, piante e frutti. Tra questi il castagno, diventando una vera e propria cultura per la popolazione; infatti se ne sfruttavano i frutti per cibarsi, il legno per combustibili, costruzioni navali e per la concia delle pelli.
SABRINA ROSSI

Il castagno, pianta maestosa e straordinaria, venne importato in Italia in epoca romana. Originario dell’Asia minore, probabilmente deve il suo nome a Kastanis, un’antica città turca che si trova sul Mar Nero. Una pianta longeva, può raggiungere i mille anni di vita, che risulta ormai diffusa fino a circa 1000 metri di quota. Il castagno viene coltivato per i suoi frutti e per il legno, infatti le castagne sono ricchissime di amidi; fino a pochi decenni fa rappresentavano un elemento essenziale per molti popoli di montagna e dell’entroterra. Dalle castagne si ricavava la farina, l’albero del castagno era infatti conosciuto come “albero del pane”, e successivamente si potevano consumare sia fresche, sia essiccate. Il legno viene sfruttato non solo come combustibile, ma anche per tavole, travi, botti, “carasse”, cioè pali da vigna, e per le costruzioni navali. Ma il legno di castagno oggi viene utilizzato anche per l’estrazione di tannino, sostanza che viene utilizzata nella concia delle pelli. Le foglie, invece, venivano utilizzate come lettiere degli animali, mentre dai fiori si può ottenere il miele. Per la sua importanza utile alla sopravvivenza e i suoi innumerevoli utilizzi ne era nata una vera e propria cultura, indispensabile per la gente di un tempo.

Nel territorio quilianese si possono trovare ancora antichi essiccatoi per le castagne, come nel bosco delle Tagliate, al Teccio dei Tersé (la parola “teccio” indica un seccatoio), in località Palè, ovvero una zona sopra la Casina tra Pomo e Valleggia, ma anche a Montagna. Gli essiccatoi sono piccole costruzioni in muratura in pietra, strutturate in due piani separati da un graticcio di legno. Al piano superiore, sul graticcio, veniva disposto un primo strato di castagne con la buccia; venivano poi rigirate più volte e ogni quattro o cinque giorni veniva aggiunto un nuovo strato di castagne. Al piano inferiore, invece, veniva acceso un fuoco di frasche con lo scopo di produrre molto fumo e poco calore e controllando costantemente la temperatura. Questa procedura durava circa trenta giorni; si coprivano poi le castagne con teli e si ravvivava il fuoco per l’essiccamento finale.
Questo però non era l’unico sistema di conservazione della castagna. Esisteva anche la “novena”, ossia l’immersione in acqua fredda corrente per nove giorni di sacchi di iuta contenenti castagne. Venivano poi fatte asciugare al sole e successivamente pronte per essere consumate. Ma esisteva anche la “ricciaia”, si formava un cumulo di castagne ancora nei ricci su una base di terra battuta. Cumuli che potevano arrivare all’altezza di circa un metro, ricoperti di foglie, terra e inumiditi costantemente. Le castagne così si riuscivano a conservare anche per mesi.
(Foto di Laura Brattel)
- La tipica muratura in pietra
- Gli essiccatoi erano divisi in due piani
- Interno dell’essiccatoio nel bosco delle Tagliate
- Seccatoio nel bosco delle Tagliate
- Seccatoio nel Bosco delle Tagliate
- L’interno dell’essiccatoio
- Uno scorcio del bosco delle Tagliate
- Vecchio essiccatoio abbandonato in località Palè
- Un altro seccatoio delle Tagliate, un poco più in basso
- Antico essiccatoio a Montagna
- Essiccatoio a Montagna
- Interno del seccatoio a Montagna
- Ciò che rimane del seccatoio nel bosco di Montagna
- Montagna, essiccatoio abbandonato
- Seccatoio a Montagna, il foro con legno forato serviva per far scendere le castagne
- Essiccatoio di Montagna visto dall’esterno
- L’essiccatoio era indispensabile per la conservazione delle castagne
- Esterno dell’essiccatoio a Montagna
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