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UNA STORIA DI FAMIGLIA

Arriva un’età o una fase della nostra vita in cui sentiamo il bisogno di conoscere il nostro passato. Proprio da quel momento ci accorgiamo che passato e presente sono uniti da un legame indissolubile e che, proprio noi stessi, siamo l’anello di una catena proiettata verso il futuro. Anticamente la realizzazione di un albero genealogico […]

Arriva un’età o una fase della nostra vita in cui sentiamo il bisogno di conoscere il nostro passato. Proprio da quel momento ci accorgiamo che passato e presente sono uniti da un legame indissolubile e che, proprio noi stessi, siamo l’anello di una catena proiettata verso il futuro. Anticamente la realizzazione di un albero genealogico era una pratica esclusiva delle famiglie di discendenza nobile, per dimostrare la purezza di una stirpe e la sua grandiosità, ma oggi le cose sono cambiate: è un mezzo per conoscersi, per scoprire da dove veniamo anche se le ricerche e la ricostruzione dei vari rami di famiglia sono spesso difficili, richiedendo un gran lavoro e una grande precisione.

Un esempio di questi, è la creazione dell’albero genealogico della famiglia Ferrando, realizzato da Angela Parodi, cugina di Danilo Donvito, abitante di Quiliano che attualmente è in possesso di questo lungo elenco e che ha voluto raccontarci l’origine della sua famiglia.

SABRINA ROSSI

 

 

Angela Parodi, con l’aiuto e il supporto di cugini e nipoti, ha svolto un lavoro straordinario ricostruendo l’albero di famiglia dalla fine del ‘700, quindi partendo dall’epoca in cui è stata possibile la reperibilità dei documenti, fino ai giorni nostri. Ma i primi nuclei della famiglia Ferrando pare risalgano a tempi ancora più antichi, subito dopo il periodo della peste.

UNA RICERCA NATA DA AMORE E RICORDI

Copertina dell’album genealogico dei Ferrando

Passatempi, chiacchierate, momenti di convivialità. Può sembrare insolito, ma la costruzione di un albero genealogico può nascere anche un po’ per gioco, con leggerezza, dalla semplice curiosità di ragazzi che ascoltano con attenzione i racconti dei loro nonni o dei loro zii. Storie, dettagli e legami di un tempo che riaffiorano, e da lì l’idea di lasciare un documento scritto, di costruire qualcosa di straordinario, un vero e proprio album con nomi, date, fotografie di famiglia fino ad arrivare ai giorni nostri. L’inizio di questa storia la possiamo scoprire tra le parole di Marialuisa Parodi, nipote di Angela Parodi, che fa riemergere alcuni ricordi di quando era una ragazza.

“La storia di questo albero genealogico ebbe inizio intorno al grande tavolo rotondo di Calizzano, durante le vacanze estive, verso la fine degli anni ’80. Dopo cena raramente si guardava la tele e, svolte le faccende domestiche, ognuno tornava al tavolo con il suo passatempo: una rivista, un esercizio di matematica da finire, un disegno, un lavoro a maglia; immancabile, poi, il mitico lavoro all’uncinetto di filo bianco della nonna. Si cominciava a chiacchierare prendendo spunto da una novità, un incontro, una telefonata; specialmente il venerdì sera, quando la zia Angela ci raggiungeva e con lei arrivavano le notizie da «in giù»: Loano, Cisano, Albenga. Noi ragazzi ci incuriosivamo e domandavamo ragguagli sui parenti che non conoscevamo; ci interessavano i loro nomi, le loro vite e, naturalmente, i legami con la nostra famiglia. E così la nonna raccontava, andando sempre più indietro, e i suoi racconti ci affascinavano perché le vicende erano spesso intricate, a volte anche buffissime e tristissime. Ricordo bene le discussioni animate tra la nonna e la zia: “Ma no che non erano cognati; ma figurati un po’ se era il 1954, io insegnavo già in colonia; ma guarda che ti sbagli, erano tre fratelli, non due!”
Noi ragazzi ci spazientivamo, poco interessati a questi… virtuosismi e cercavamo di riportare il discorso sugli avvenimenti ancora da scoprire; la nonna riprendeva il suo racconto. In questi anni, la zia Angela ed io ci siamo pentite mille volte di non aver mantenuto il proposito che tutte, ma dico tutte, le sere suggellava la chiusura della chiacchierata: “Domani sera registriamo tutto, così non ci dimentichiamo niente!”
Invece, abbiamo preso appunti; così, perché le pile del registratore erano scariche, perché… uffa, il registratore è rimasto su, non ho voglia di salire; ma, in fondo, la nonna non sarebbe stata così spontanea di fronte a «quellu cosu» (e nessuno di noi aveva doti particolari per… nascondere registratori tascabili!). Io scrivevo e lo scrivere quello che la nonna raccontava diventò uno dei miei passatempi preferiti a Calizzano, intorno al tavolone rotondo.
Quando la zia Angela ha ripreso gli appunti qualche tempo dopo la morte della nonna, non poteva certo immaginare il lavoro che l’attendeva. Ma con grande passione, e grande senso dell’ordine, da brava maestra, piano piano ha ripreso le fila di tutte quelle storie. Le ricerche sono state lunghe e laboriose, ma tante persone si sono prodigate e hanno fornito informazioni, fotografie, date e dettagli preziosi. Grazie di cuore a tutti, davvero! Grazie soprattutto a te, cara zia Angela, che hai messo insieme tante epoche e tanti mondi, con grande amore, impegno e volontà”.

GLI ANNI DELLA PESTE

Stemma della famiglia Ferrando di Genova

“Ferrando” è un cognome tipico del genovese e dell’alessandrino, deriva da modifiche del nome Ferdinando o della sua contrazione Fernando o, più probabile, dal nome medioevale francese Ferrant. Potrebbe anche trattarsi di una derivazione da un soprannome originato dal fatto che il capostipite avesse i capelli color grigio ferro.

Come mai i primi nuclei della famiglia Ferrando emigrarono dalla Riviera di Levante a quella di Ponente durante il XVIII secolo? Una risposta potrebbe essere data da alcune notizie storiche tratte da un vecchio libro di Guido Malandra, “Storia di Quiliano”. Nella ricorrenza della festa della Madonna della Misericordia (18 marzo 1631) numerosi abitanti di Quiliano si riversarono in Savona ma, già durante il viaggio di ritorno, molti di essi morirono di un “pestifero morbo” lasciando la città di Savona immune dal contagio. I savonesi giudicarono l’accaduto come un grande miracolo, dovuto all’intercessione della Madonna, da sempre protettrice della città. I quilianesi, dunque, erano già stati contagiati a quella data, probabilmente da soldati spagnoli di passaggio nella vallata. L’anno successivo, nel 1632, fu ancora più drammatico per Quiliano e dintorni, infatti il paese venne considerato un “desolato flagello”. Un’analisi di quell’epoca, riscoperta negli archivi storici di Montagna, fa risalire a mille i morti per il morbo della peste. Una cifra che può sembrare esagerata, non si riferisce però solo a Quiliano, ma anche alle altre zone limitrofe tenendo conto che all’epoca l’intera popolazione della vallata non superava le tremila unità. I centri più colpiti furono nelle zone di Roviasca, e Garzi, in quel di Montagna, che negli anni a seguire risultarono completamente spopolati.

Gli effetti dell’epidemia furono terribili e lo dimostrano anche alcune citazioni contenenti in atti testamentari dei nati in quel periodo. La maggior parte dei contagiati venne ricoverata nei diversi lazzaretti, in cui riceveva le cure più adeguate che ai tempi si conoscevano. Vennero ricordati i lazzaretti di Garzi, Montagna, Cadibona; un altro centro esisteva presso il convento dei Padri Cappuccini di Morosso, i quali si prodigavano particolarmente per aiutare i malati colpiti dal morbo, in quanto era venuta a mancare l’assistenza materiale e spirituale dei parroci, uccisi anche loro dall’epidemia. Il loro eroismo e il loro coraggio vennero ripagati con una devota riconoscenza da parte della popolazione. Molti frati pagarono con la loro stessa vita. Anche le persone non contagiate subirono danni enormi: le case, considerate infette, venivano abbandonate dagli abitanti, che preferivano vivere in baracche e in capanne di frasche, oppure all’aperto. Alcuni cercarono rifugio sulle colline circostanti riuscendo così a salvarsi.

L’epidemia fece cessare tutte le attività che erano state fonte di benessere per tutti: l’agricoltura, l’allevamento, la pastorizia, la produzione di legname, la raccolta di funghi e castagne. Le persone, prive ormai di speranza, attendevano la morte sicura.

L’ARRIVO DEI FERRANDO A QUILIANO

Al termine di questo lungo tempo di lutti e malattia, rimase ancora la povertà assoluta a far soffrire la popolazione. Proprio in questo periodo di “dopo peste” entrarono in scena i primi nuclei familiari provenienti dal Genovesato, tra cui i Ferrando. Infatti, le località di Quiliano, Montagna, Roviasca, Garzi e Valleggia vennero ripopolate da alcuni abitanti delle zone limitrofe di Genova. In particolare, i Ferrando partirono da Genova Campi e si stabilirono nei terreni abbandonati e desolatamente incolti del territorio quilianese. Pare che la prima famiglia di Ferrando, proveniente da Genova Campi, si stabilì a Quiliano oltre il torrente omonimo, tra la località Casina e l’attuale cimitero, che da loro prese il nome di “Campi”. Da qui “Baciccia di Campi”, “Checcu di Campi”, “Tugnin di Campi” e molti altri.

Proprio tra tutti questi nuovi abitanti, c’erano sicuramente i bis/tris nonni di Angela Parodi, che ha condotto le ricerche con grande impegno e passione grazie anche all’aiuto dei cari cugini. Avi che rimarranno sempre impressi nella loro memoria, attraverso i ricordi, i racconti, le ricerche, e di cui continueranno a parlare con grande stima ed affetto. Persone care che gli hanno tramandato i veri colori della vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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