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C’ERA UNA VOLTA LA NONNA (6)

LA NONNA RACCONTA (SESTA PUNTATA) Quali favole e quali filastrocche Nonna Rosa ha ascoltato e cantato nella propria vita? Questa è l’ultima puntata del suo racconto e lo chiudiamo con una passaggio curioso, le favole e le filastrocche e con un appunto un po’ goloso. Cosa si mangiava all’epoca dell’infanzia di Nonna Rosa? Cose buone, […]

LA NONNA RACCONTA (SESTA PUNTATA)

Quali favole e quali filastrocche Nonna Rosa ha ascoltato e cantato nella propria vita? Questa è l’ultima puntata del suo racconto e lo chiudiamo con una passaggio curioso, le favole e le filastrocche e con un appunto un po’ goloso. Cosa si mangiava all’epoca dell’infanzia di Nonna Rosa? Cose buone, cose genuine, cose piene di sapore, arricchite dalla nostalgia di tempi irrimediabilmente passati. Anche se quella torta pasqualina di 24 uova ci lascia sognare un po’….(E.G.)

FAVOLE PERDUTE E LA TORTA PASQUALINA

 

Nei lunghi e freddi inverni prima del 1940 in quelle case coloniche a lume delle lanterne a olio mia nonna ci raccontava le favole in dialetto antichissime ed anche istruttive. Io, da adulta ho chiesto a tante persone se le ricordavano ma non trovato nessuna traccia. Una favola che a me da bambina era rimasta tanto impressa nella mente era i sette babbi cioè i sette zii, a me spiaceva che andasse persa perché era raccontata in dialetto, alle mie nipotine l’ho raccontata tante volte ma loro parlano l’italiano e non riescono neanche a dire le parole giuste e la favola perde di significato. I nomi delle persone che io ho memorizzato da nei luoghi dove vivevo da piccola ora sono completamente diversi: Carlin, Gustan, Sesilia, Pasquin, u Liggiu, Risulta, Paulettu, u Giuachin, U Dria, Teresin, Alla sera eravamo tutti seduti sull’erba del prato a cantare gli antichi stornelli di quei tempi. Io parlavo solo in dialetto, alcune parole sono scomparse e la mia poca cultura mi impedisce di tramandarle.

A pranzo mangiavamo pasta fatta in casa, lasagne, gnocchi e tagliatelle. A cena minestrone, polenta, frisceu, focacce e focaccini. In estate nel forno a legna, nelle grandi teglie di 60 centimetri di diametro farinata gialla di ceci, bianca farina di grano, zucchine, cipolle, melanzane ripiene. La torta pasqualina con 24 uova, un litro di olio di oliva bietole e formaggio, sopra era ricoperta da una sfoglia sottilissima tirata a mano in due persone Il mio piatto preferito erano i ravioli ripieni di erbette condite con il sugo di coniglio. Odiavo le patate bollite con le radici, erano amarissime condite con olio d’oliva e aceto.

Le filastrocche di mamma Rosa

 

Rundaninha teitu a teitu porta l’aiu a S.Beneitu’.S. Beneitu u nu vo’ porta l’aiu hai so figio,  i suoi figio nu vogna mancu porta l’aiu au Spiritu Santo U Spiritu Santu le u sou poggia u sou mette in tal sa bouttiggia. Quello pochu cu banda u sou mette in ta sa lampa. Lampa, lampett Gesù in cameretta, a Madonna in zenugiun oh che bella devusiun.

——

Maddalena pin pin pena

Scarpe gianche e roba veglia cun in scuossu de pape’ Madalena a fa i fide’

I fide’ i nu sin ancun cotti Madalena a fa i bescotti.

I bescotti i se the sun Briscoe Madalena a fa i chiggie

I chiggie i sun de buttun Madalena a fa brun brun

——-

A riunda de cuculli, me mama a la rottu i tundi a la rottu i recame’ dunque sodi i ghea custe’

———

Dice l’anitra qua qua,

Anatrino presto qua

Giù nell’acqua per lavarti

Voglio a nozze accompagnarti

Alle nozze del galletto

Non andrà chi non è netto

———-

Zucca pelata ha fatto i tortelli

Non ne ha dato ai suoi fratelli

I suoi fratelli hanno fatto la frittata

Non ne hanno dato a Zucca Pelata

 

La pigrizia andò al mercato ed un cavolo comprò, mezzo giorno era suonato quando a casa ritornò. Prese l’acqua e accese il fuoco, si sedette e si addormentò ed intanto a poco a poco anche il sole tramonto’

 

Cincirinella aveva una mula che tutti i giorni ci dava vettura, ci dava la briglia e la sella, trotta trotta

 

LA NONNA RACCONTA (QUINTA PUNTATA)

Nonna Rosa, Rosicchia come si chiama da sola, questa volta ci presenta uno spaccato di vita personale e straordinario, la vita di fatiche, la nascita dell’amore con il suo caro Poro, la costruzione di una vita assieme e la casa per la famiglia. In un racconto per i nipoti che è in realtà un monologo con se stessa raccoglie le fila di una storia d’amore, di un dialogo che non si è mai interrotto. Un amore limpido e duraturo. Insegnamenti, esortazioni, considerazioni. Da leggere tutto d’un fiato. Sono ammessi i lucciconi. (E.G.)

 

LA VITA IN CAMPAGNA, LE NOZZE, LA FAMIGLIA

Nelle zone dove sono nata io la terra era procace doveva essere sfruttata al massimo. Sui muri delle fasce i filari con le viti per l’uva, le piante da frutta alternate agli ulivi, tutti alberi secolari potati molto alti perché nel terreno sottostante veniva seminato il grano, la segale, le fave, le patate, i fagioli e i cavoli, sostentamento primario per quelle numerose famiglie perché se capitavano anni di siccità, il raccolto scarseggiava e con qualcuno di questi raccolti si riusciva a sopravvivere. In queste zone d’estate l’acqua scarseggiava non c’erano sorgenti ma solo il ritano ma non essendoci le tubazioni di adesso arrivava nei terreni tramite solchi da molto lontano e non in tutti.

L’ACQUA CONDIVISA SULLA PAROLA

A monte del quartiere, nel letto del ruscello era ricavata una chiusa con un muretto di zolle d’erba pressato, in una notte si riempiva. L’acqua veniva poi divisa a ore tutti i giorni della settimana tra i proprietari dei terreni, senza statuto, a voce, ognuno secondo la quantità di fasce da bagnare era consapevole della sua parte e di ore, e di generazione in generazione si tramandavano le regole, non ci era nulla di scritto, si osservano con coscienza (i patti) rispettosi delle tradizioni da tramandare.

LA NASCITA DI UN AMORE

Dove hai conosciuto il nonno? In contrada Quilianetto, sull’aia, tutto il quartiere alla sera finiti i lavori in campagna si riuniva a dialogare, giovani ed ansiani, in quella intesa di quartiere tra le famiglie anche i figli hanno imparato l’aggregamento reciproco. Tra noi giovanissimi stando sempre insieme quest’ amore giovanile e spensierato. I nostri genitori erano soddisfatti di questa nostra gioventù entusiasta e spensierata forse derivata dal dopoguerra, senza via d’uscita per la libertà. Dopo invece si è aperta per noi giovani un’altra era.

“INSIEME TUTTO CI SEMBRAVA PIÙ BELLO”

Già giovanissimi abbiamo imparato ad amalgamare i nostri caratteri, tanto diversi (trasformandoci) in complici e provando le stesse emozioni anche per le cose più semplici e farlo durare nei tempi lunghi e difficili della vita. L’armonia di coppia è una conquista quotidiana e col tempo si impara a proteggerla. Noi due siamo sempre stati NON due esseri unici ma due persone normali come tante. Passando i tempi si è più maturi e responsabili a contatto con divergenze di idee (bisogna) imparare a smussare gli spigoli dei nostri caratteri e accettarli da entrambi. L’amore reciproco è un bene prezioso. Questo lungo periodo di gioventù ci è servito a farci crescere come carattere e farci capire le cose fondamentali che ci (sarebbero) servite per unire le nostre vite per sempre con impegno e amore. Essendo partiti dal nulla e non avendo trovato nulla di già fatto, io e te abbiamo avuto tante soddisfazioni e abbiamo imparato a dare il giusto valore ai minori ricevuti. Esperiense anche tanto dolorose ci hanno aiutato a crescere e a capire i giusti valori della vita. Ovunque andassimo eravamo tanto felici, perché essere insieme tutto ci sembrava tanto bello. Allora eravamo giovani con tanto entusiasmo, abbiamo fatto la scelta di affrontare uniti le difficoltà che la vita ci avrebbe riservato. A noi il lavoro e l’impegno per la famiglia ci ha arricchiti e resi consapevoli dei ruoli, del nostro compito, ne siamo stati fieri. A ripensarci chissà cosa sarà stato che ha deciso, in questo lunghissimo percorso di vita, vissuto assieme la scintilla dell’amore tra noi due. Un puro caso, una magia, il destino che ti porta ad incontrare e incrociare il destino di due persone!! Attrazione, amore, desiderio, forse si ma tanta voglia di capirsi e non perdersi e continuare a vivere tanti anni assieme, c’è voluto molto più di un caso o dell’attrazione di un istante. amore, desiderio e tanto impegno, voglia di capirsi senza neanche dirselo, tanti anni con gli inevitabili alti e bassi, senza tentennamenti, costruendo nuovi progetti magari dopo momenti difficili, orgogliosi di essere l’uno la roccia dell’altro, come una lunga catena di sentimenti radicati dentro di noi con amore e rispetto reciproco. Guardando indietro una sensazione appagante, una storia simile a tante ma per noi unica La Rosicchia e il suo Poro.

LA STORIA DI UNA VITA

Quando vi siete sposati? 09/11/1957

Come avete festeggiato? Con un grande pranzo, è stata una grande festa tra parenti e tanti amici.

La mia nuova casa era una casa presa in affitto, cosa che io non avevo mai sperimentato. Sposata ad un operaio con uno stipendio di circa 34 mila lire al mese, nessuno aveva niente da darci, abbiamo sempre creduto nella salute che ci accompagni, nella buona volontà, non abbiamo mai perso la speranza in tempi migliori. Abbiamo lavorato con tenacia, abbiamo comprato un pezzo di terra, in 4 fratelli, la volontà, la forza, l’impegno, l’unione abbiamo formato la nostra famiglia, aiutato gli ansiani genitori in caso di bisogno, loro ci hanno incoraggiato con buoni consigli a non scoraggiarci mai, essere solidali tutti assieme, a superare le difficoltà, nel 1967 avevamo già fatto la casa per tutte e quattro le famiglie.

LA MALINCONIA DELLA SOLITUDINE

Dopo 61 anni passati insieme il destino ci ha divisi, che fortunati siamo stati io e te! ma anche così ci sentiamo tanto vicino, il nostro modo di farci compagnia non è cambiato anzi abbiamo più tempo per parlarci e dialogare solo di cose belle, le tante belle emozioni che abbiamo condiviso assieme che sono state tante tante, la bella casa tutta nuova fatta con tante fatiche, sacrifici ma con tanto amore, ci ha dato tante soddisfazioni, la bella famiglia che ci siamo costruiti ci ha reso orgogliosi! Da ansiani ci siamo fatti una bella compagnia. Adesso per me tutto è cambiato mi sento malinconica, mi manchi tanto, sento il vuoto intorno a me, però il tuo dolce ricordo rimarrà indelebile a farmi compagnia e con nostalgia ti ma serena ti penso la tua Rosicchia.

NONNA RACCONTA (QUARTA PUNTATA)

Sono tutte belle le storie raccontate da Rosa Bonello, ma questa puntata ci ha intenerito più delle altre e ci permettiamo di consigliarla con calore. Parla di un mondo irripetibile: dalla casa contadina con i letti fatti di foglie, al freddo del risveglio, al pozzo profondo 60 metri, al cibo ammassato e stoccato per l’inverno, al formaggio e la frutta. Agli usi per l’accoglienza e alla pietà. Il copriletto imprestato per i morti è una pagina altissima e irripetibile. (E.G.)

LA MIA CASA DA BAMBINA

La mia casa da piccola era in contrada Quilianetto, situata sulla sommità della collina l’ultima di un gruppo abitato da 10 famiglie in campagna, la grande aia in terra battuta in comunità tra famiglie serviva per la trebbia del grano, della segala, delle fave, per il ricovero dei carri trainati dalla mucche e per i giochi di noi bambini. La casa era formata dal porticato, le stalle per le mucche, le pecore, il maiale, il pollaio, le conigliere, il fienile, i pagliai. Vicino all’entrata c’era un pozzo profondo 60 metri, la casa era su tre piani, la cucina era il seccatoio delle castagne con il focolaio al centro del pavimento delimitato da quattro grandi pietre di un metro per quattro.

LA PROVVISTE NEL SOLAIO

Durante la stagione delle castagne, cioè in autunno, il fuoco rimaneva acceso per un mese intero (novembre) giorno e notte. Le castagne erano appese ad una gree, appesa alla gree c’era una catena con anelli un po’ grandi terminava con un gancio dove venivano appesi i paioli in rame di tante misure per far da mangiare. Sulla brace un treppiede per il latte, il caffé, la graticola per i focaccini. Per pranzo e cena polenta, minestrone, ravioli, tagliatella, gnocchi e focacce fritte. Nella parete un forno a legna per la farinata, il tortellaccio, la torta pasqualina, le melanzane e le zucchine ripiene. Per riscaldarsi ci si sedeva intorno al focolare, noi bambini sui “sepetti” tronchi di albero di diverse altezze, sopra le camere da letto. Nel sottotetto il ricovero per le provviste perché in inverno nel terreno non c’era niente da raccogliere solo le olive per l’olio. Nel sottotetto che era grande come la casa venivano messe le patate che per metà erano usate per la semina dell’anno prossimo, le castagne secche, nella paglia le mele, le pere, appesa ai muri l’uva, appesa al soffitto una gabbia con il formaggio fatto di latte di pecora, nelle giare tenevamo l’olio, poi i fagioli, il grano da portare al mulino a macinare per fare la farina tutto l’anno, per le focacce, i focaccini, le tagliatelle, i frisceu che erano una usanza ligure molto usata, se arrivava qualche parente c’era sempre qualcosa per l’ospitalità, farina, acqua, un po’ di sale e usciva una pastella che messa a cucchiaiate nell’olio bollente erano subito pronti i frisceu! Tutte queste usanze per superare i lunghi inverni a sfamare undici persone senza nessun stipendio, nonni, figli e nipoti, giovani, vecchi, bambini appena nati. Io dividevo la stanza con mia sorella Rita, era arredata con un comodino e un solo letto, il nostro letto a due piazze era formato da un pagliericcio riempito di paglia di grano che ogni anno dopo la trebbia cambiavano con quella nuova e sopra un materasso di lana di pecora, d’inverno la mamma lo scaldava con uno scaldino che riempiva di brace. La mamma ci svegliava prima dell’alba in quella grande casa dei nonni paterni dove siamo nate e cresciute, le più grandi dei fratelli. I nonni erano diventati ansiani, pieni di acciacchi, la nonna ci raccontava storie e di quanto fosse difficile crescere sette figli e il tempo non le aveva risparmiato nulla, felicità e dolori, soddisfazioni e sacrifici. Io e Rita, le nuove generazioni, appena finite le elementari a convivere con la realtà contadina. Era Luglio il tempo del fieno che voleva significare il sostentamento delle due mucche e pecore e capre per tutto l’anno. Abbiamo cominciato con il falcetto numero 0, le falci normali degli adulti era il numero due. In quei prati assolati noi due piccoline con i grandi, dall’alba al tramonto. La mamma ci portava la colazione verso le otto. Sotto un albero al fresco, tutti seduti per terra nel prato, circa sette/ otto persone che mangiavano in un tassun il condigiun, pomodori, focaccini di patate e farina cotta sul focolare, sopra una griscella posata sulla cenere ben calda.

IL CEROTTO ERA UNA FOGLIA

Se con il falcetto capitava di tagliarti se picchiavi su una pietra, a noi bambine capitava, la mamma ti fasciava il dito sanguinante con una foglia, lo legava con un filo d’erba, se vedeva che eri spaventata e sbiancata in volto ti dava una sberla un po’ forte e diceva “prendi il falcetto e continua a tagliare”, questo era il pronto soccorso dei miei tempi. Quando a mezzogiorno suonava l’ora del rientro, tutti insieme grandi e piccini con un fascetto d’erba fresca legato con le venche per prima cosa arrivati a casa davamo da mangiare agli animali.

IL COPRILETTO PER I MORTI

La domenica la mamma ci vestiva con il vestito della festa e ci mandava in paese a messa nella chiesa San Lorenzo a Quiliano, il sacerdote era Lorenzo Bazzano.

Le tradizioni era importanti, io conservo ancora un copriletto bianco molto antico che si doveva imprestare alle famiglie meno fortunate che non ne possedevano, quando in casa veniva a mancare qualcuno, veniva messo sul letto del defunto ma dopo veniva restituito, la gente era solidale, senza leggi scritte, le usanze si tramandavano per generazioni.

NONNA RACCONTA (TERZA PUNTATA)

Rosa Bonello rievoca il ruolo importante dell’affetto dei nonni nella sua infanzia,  le leggende che raccontavano per fare stare bravi i bambini: storia vera (l’assedio francese) a leggende (il secchio pieno di monete d’oro), ma anche le cosa semplici di come si viveva il Natale

LUCIDARE LE PENTOLE CON LE MURA DEL CASTELLO

Adesso i bambini trascorrono la loro adolescenza in modo frenetico con mille cose da ricordare, la scuola, i compiti, i rientri, lo sport. Tante cose lì portano ad essere distratti dalla quotidianità della vita familiare e dalla realtà che da adulti dovranno affrontare. Il mio ricordo da adolescente si configura in una grande famiglia dove i nonni erano il centro e il ritmo della giornata ruotava su quel perno centrale. I nonni per noi piccoli erano quelli che avevano più tempo da dedicarci, ci raccontavano filastrocche, leggende antiche.

I NONNI E LA STORIA DELL’ASSEDIO FRANCESE

I miei nonni erano proprietari di un rudere di un castello e la nonna ci raccontava che in tempi remoti quel castello era presidiato da truppe francesi, gli italiani erano allo stremo, avevano come riserve da mangiare una mucca e 40 kg di grano, avrebbero dovuto attendersi ma hanno giocato d’astusia, hanno fatto mangiare il grano alla mucca e poi l’hanno lasciata libera. I francesi l’hanno catturata e uccisa trovandola piena di grano hanno pensato che gli italiani avessero tante risorse e si sono rassegnati abbandonando il presidio.Gli italiani hanno visto non con la forsa ma con l’astusia.

MONETE D’ORO NASCOSTE NEL SECCHIO D’ARGENTO

La nonna in quei lunghi inverni ci raccontava la leggenda e a noi sembravano cose vere, che quei ricchi proprietari del castello i soldi li tenevano nascosti in un grande secchio di argento ricolmo di monete d’oro. Questi racconti stimolavano la nostra fantasia e gli ansiani non si sentivano mai soli e sfiduciati, per noi piccoli erano un punto di riferimento, una vera ricchezza. Ho convissuto coi miei nonni paterni fino a quando non sono mancati, io avevo 10 anni ma l’affetto, l’amore e le tenerezze sono rimasti indelebili nel mio inconscio e in noi piccoli il rispetto per gli ansiani. Tutte cose che i miei genitori non mi potevano assicurare per mancanza di tempo.

Queste sono ricchezze positive che si assimilano nell’infanzia e poi mai più. Se non le hai avute non potrai ritrovarle dentro di te quando sarà il tempo per tramandarle ai tuoi nipoti. Oggi chissà che tanti disastri familiari non dipendano da non aver avuto nonni affettuosi.

NATALE? I PAIOLI LUCENTI E LA NEVE FUORI

A Natale mia mamma mandava me e mia sorella Rita di due anni più piccola a cercare un po’ di mum, piccoli pezzetti di mattone che si trovavano solo in quel determinato posto, vicino alle mura del castello di loro proprietà, nell’erba del prato salendo un sentiero scosceso attraversando un castagneto, lontano un km da casa. Al ritorno il mum si pestava con una pietra sopra ad un’altra più grande, diventava una polvere finissima e serviva per lucidare i paioli di rame che diventavano lucidissimi. Poi venivano appesi in cucina e davano il senso di un tempo di festa con quel grande focolare acceso in mezzo alla cucina e noi tutti raccolti vicino a quel grande fuoco, anche se fuori nevicava ci sembrava la festa più bella del mondo.

Siamo entrati, in punta di piedi nella vita di Rosa Bonello. Lei ci ha accolto con gentilezza e premura insegnandoci cose nascoste e poco conosciute delle propria infanzia e della sua vita. Un mondo scomparso senza possibilità di ritorno che lei con i suoi racconti e le sue descrizioni è riuscita per un attimo a far rivivere. Non erano tempi facili, non era una vita semplice. Ecco, cosa voleva dire essere contadini in una contrada come Quiliano.

(E. GIAN.)

LA NONNA RACCONTA (SECONDA PUNTATA)

Ecco la storia di Rosa Bonello raccontata in prima persona ai nipoti…

Le usanze d’estate in tempi di stenti

 

Il taglio del fieno veniva fatto dal mese di giugno fino a fine agosto, dal mattino alle sei fino a mezzogiorno. Al pomeriggio dalle tre alle otto. Nella mia contrada (lavoravano) , sia coloni che mezzadri, non cambiava niente, non avendo possibilità di prendere gente a giornata a pagamento, il lavoro veniva svolto cosi: con l’interscambio delle giornate lavorative tra vicini.

Nel pomeriggio, dopo l’ora della siesta, dalle due alle tre, le donne sistemavano la casa e le bestie, dar loro da mangiare e da bere. Gli uomini prendevano le falci, sette, otto secondo le persone che erano a tagliare il fieno, si sedevano sull’aia al fresco, piantavano nel terreno l’anchise con il martello, doveva essere ben saldo e battevano con il martello il filo delle falci, una per volta per assottigliarlo e farle affilate. Questo lavoro veniva fatto mattina e pomeriggio. Poi lungo la giornata per mantenere sempre il filo ben affilato e tagliare il fieno ognuno aveva legato ai fianchi con uno spago un corno di bue con dentro un po’ d’acqua e, dentro nell’acqua, una cote che serviva passandola sul filo della falce, sempre ben bagnata, a tenere il filo affilato. Era un lavoro faticoso in quei prati assolati, però la gente era stanca ma meno stressata.

La famiglia del padre di Rosa Bonello

I ricordi da me raccontati sono un po’ approssimativi perché io li ho vissuti e sentiti raccontare in dialetto ligure. Io, in dialetto, me li ricordo bene ma fatico a spiegarli e scriverlo in italiano. Raccontare in italiano travisa il senso del racconto. Tante parole non le uso neanche più, sono proprio sparite. Per esempio la trebbiatura del grano, come affrontavano loro a quei tempi, per non perdere niente del grano su quell’aia sterrata, senza i teli stesi per terra per fare cadere il grano caduto sui covoni, sulla terra. Questo era compito di mio papà, il giorno prima della trebbia passava nelle stalle delle mucche di tutta la contrada, raccoglieva lo sterco fresco, lo metteva nei gaocci: mastelli di legno come le botti, aggiungeva acqua per farlo diluire, una volta liquefatto diventava una pastella. Con una scopa fatta di brughe fumelinhe legate assieme coi basammi intingeva la scopa nella pastella e passava e ripassava 2, 3 volte per terra. Il sole di luglio asciugava subito e si formava una pellicola impermeabile. I covoni (erano) passati nella trebbia, il grano cadeva per terra, veniva preso con una pala, e messo nei “valli”, le donne lo ballavano e così separavano il grano dal Gemmu. Pulito veniva messo nei sacchi e portato a casa, vuotato nei cassoni con il coperchio era pronto per portare al mulino, per macinare e ricavare il sostentamento primario per tutto l’anno delle numerose famiglie. I cassoni con il coperchio salvavano il grano dai topi, numerosi in campagna. Nei sacchi i topi lo avrebbero distrutto e sfamato i topi invece che le famiglie. Rimaneva il rito della paglia, letto delle mucche nei freddi e lunghi inverni e poi letame per le magre fasce di Liguria. Piantavano nel terreno un palo di cinque/sei metri, con la paglia formavano i pagliai che finivano a cono e la paglia rimaneva sempre asciutta e durava tutto l’anno.

ANCHE LE BAMBINE A FALCIARE L’ERBA

Il taglio del grano dove anche io piccolina 10 11 anni, prendevo parte col mio falcetto numero 0. Al mattino, all’alba prestissimo prima che il sole si alzasse all’orizzonte, nelle fasce scoscese e strette della Liguria al lavoro fino alle dieci. Il lavoro rendeva di più perché il grano umido dalla rugiada della notte era più malleabile e le spighe si tagliavano meno. Tagliato tutto a manciate steso per terra, quando il sole cominciava a scaldare mio papà tagliava a metà ste piante di grano, la prima metà rimaneva sul terreno e poi veniva utilizzata di inverno per il mangiare delle pecore e delle capre, dalla parte delle spighe. Io e mia sorella con le piante con le spighe più robuste, incrociate le une con le altre facevamo le venche per legare i covoni, era compito nostro. Legati i covoni ben stretti allineati lungo le fasce venivano poi trasportati in casa in spalla due per volta a piedi accatastati sull’aia in attesa della trebbiatura.

FINE 1948: LA RACCOLTA DELLE CASTAGNE

A settembre/ottobre io sempre col mio falcetto in una mano e dall’altra un mazzo di felci.con una sacchetta di stoffa legata ai fianchi che quand’era piena veniva svuotata nei sacchi tutti i giorni del mese dall’alba al tramonto. Le castagne nei sacchi venivano trasportate a casa a piedi, stese sulle graticole delle gree, dei seccatoi. Novembre, nei seccatoi il fuoco rimaneva acceso giorno e notte, con grossi tronchi di alberi e grossi ceppi coperti con la pula delle castagne dell’anno prima. Tutti i giorni le castagne stese venivano venivano rimescolate con i rastrelli. Dopo un mese erano secche e pronte per la pesta, altra antichissima usanza. Le castagne così trattate erano il sostentamento tutto l’inverno per quelle numerose famiglie, nei miei ricordi da piccola erano tempi di guerra.

Continua….

PRESENTAZIONE

Come era la vita a Quiliano qualche decennio fa? Come erano il Natale, i giochi dei bimbi? I rapporti parentali? Il tempo libero, come il lavoro? Siamo entrati in una macchina del tempo, portati dalla generosità di due donne Rosa Bonello che ha scritto un diario da lasciare ai nipoti e che ora vi proponiamo integralmente anche se scandito per argomenti e di sua figlia Rosy Parodi che ce ne ha concesso la diffusione. Come noi, lasciatevi emozionare e coinvolgere. Ne vale la pena. Buona lettura e buon viaggio.

ELENA GIANASSO

Leggere un libro è vivere un’altra vita, immedesimarsi nel personaggio che prende vita tra le pagine, dargli corpo e anima secondo la propria fantasia. Quando invece ci si imbatte in un diario l’impatto è diverso, è un po’ come se chi scrive ci prendesse per mano e ci catapultasse nella propria esistenza, in questo caso è impossibile metterci del proprio, si può stare solo in silenzio, far scorrere le dita sulla pagina pensando che ciò che si legge è accaduto davvero. Scopriamo oggi la storia di una famiglia quilianese mezzadra di una famiglia nobile del luogo.

Rosa Bonello attraverso una testimonianza scritta sotto forma di diario, oggi regalo per i suoi nipoti, ci racconta della vita contadina, del cibo che si consumava, dei lavori nei campi. Come tutte le famiglie di quel periodo anche la famiglia di Rosa Bonello ha vissuto l’esperienza della migrazione all’estero in cerca di fortuna, una zia infatti è emigrata in America e ha mantenuto i contatti con la propria terra scrivendo lettere e cartoline augurali in occasione delle Festività.

La famiglia di Rosa Bonello raccontata sul suo diario. Una foto e i suoi ricordi, poche righe per una vita intera

UN DONO PER I NIPOTI DIVENTA SCRIGNO DI RICORDI

Le sue parole ci permettono di entrare nella sua famiglia, conoscere il marito “Poro”, condividere i valori su cui hanno fondato la propria vita coniugale e l’educazione dei figli.

Rosa Bonello si accosta alla scrittura in diario grazie al dono dei nipoti: un libro bianco della memoria ideato da Francesco Marini che ha il compito di sollecitare i ”nonni” a trascrivere ricordi ed emozioni per lasciarle ai piccoli. Così è stato anche in questa occasione, ma nel nostro caso Rosa Bonello ha accettato di offrire ai lettori di Quilianonline, una finestra sulla propria vita. E così abbiamo potuto osservarla con rispetto, scoprendo che da bambini, mentre si andava a scuola, si mangiucchiava una radice di “rapusin”, che lungo la strada si portavano bottiglie di latte per i signori di Quiliano che abitavano lungo il tragitto e che agli occhi dei bambini abitavano in case immense piene di libri. Le case contadine spesso si sviluppavano su tre piani, la cucina aveva un grosso focolaio dove venivano arrostite le castagne, alle pareti c’erano grossi ganci a cui erano appesi i paioli di rame per cucinare, il cibo era povero, castagne, farina, uova, verdure spesso selvatiche, patate. Tra le pagine del diario scopriamo anche interessanti ricette.

UNA VITA SEMPLICE SCANDITA DAL DIALETTO

Al piano superiore delle case coloniali si trovavano le stanze da letto dove si dormiva sui pagliericci; nel sottotetto un angolo era adibito alla raccolta delle provviste per l’inverno.

I giochi dei bambini erano semplici, i ragazzini vivevano gran parte delle loro giornate sull’aia e tra un gioco e l’altro aiutavano i genitori nei lavori campestri come il taglio del fieno, durante le lunghe giornate si incontravano artigiani girovaghi che in cambio di qualche moneta intrecciavano cestini o affilavano coltelli.

In famiglia si parlava il dialetto, l’italiano si usava a scuola, la lingua parlata era fondamentale, si tramandavano racconti, ricette di cucina, tradurre le frasi dialettali in italiano è spesso impossibile anche perché spesso i termini non hanno una esatta corrispondenza in italiano e inoltre si perderebbe il senso autentico del significato. Dalle parole di Rosa Bonello scopriamo che le classi erano di 31 bambini, lo studio era considerato un privilegio riservato a pochi, anche perché le scuole spesso si trovavano in città ed erano difficilmente raggiungibili per chi viveva in paese o in campagna.

QUELL’AMORE NATO A QUILIANETTO

Dopo aver imparato a leggere e scrivere il minimo indispensabile le bambine venivano indirizzate verso scuole di taglio e cucito per avere tra le mani un mestiere utile per l’economia famigliare, queste lezioni di economia domestica venivano tenute spesso da suore.

Le ragazze passavano dall’ambiente rassicurante e chiassoso della famiglia di origine con molti fratelli da accudire alla nuova vita da donne sposate, Rosa Bonello e Lino Parodi si sono sposati il 9 novembre 1957. I due ragazzi si conobbero in contrada Quilianetto, vissero la loro vita in tranquillità, lo stipendio di 34 mila lire permise a Rosa di comprare il primo elettrodomestico della propria vita.

Rosa ci porta a conoscere i suoi figli, l’abbiamo conosciuta bambina e la lasciamo madre. La scrittura di Rosa Bonello è semplice, con qualche inflessione dialettale, splendido l’uso della S al posto della Z, il suo linguaggio genuino inframezza racconti di vita quotidiana e contadina con considerazioni umane e consigli valido anche per la generazione di oggi. Una storia che vi riproponiamo a brevi capitoli in un viaggio nel tempo che ci arricchisce e commuove.

IL RACCONTO

PRIMA PUNTATA

C’ERA UNA VOLTA, LA NONNA RACCONTA

Ecco la storia di Rosa Bonello raccontata in prima persona ai nipoti…

 

Il mio nucleo era formato da 11 persone, i miei nonni paterni, Giovanni e Rosa, ottantenni di qui, mia nonna cieca, i miei genitori, Luigi e Angela cinque figli Rosa Rita, Giovanni, Pietro Giuliana.

LA STORIA INCOMINCIA

I miei nonni erano contadini mezzadri i signori Garroni di Genova, mio nonno Ferrando Agostino ha conosciuto mia nonna Biasutti Luigia a servizio dei signori Garroni. Mia nonna era nativa del Friuli ed era arrivata in Liguria come bambinaia dei Signori Garroni, aveva conosciuto mio nonno nativo di Quiliano. Si erano sposati ed erano nati 8 figli. Mia mamma Angela, Maria, Elisa, Tina, Rosa, Giuseppina, Giovanni e Giuseppe. Durante la grande guerra 1914-1918 data la tanta lontananza aveva perso notizie dei suoi famigliari. Nel 1933 aveva trovato tracce di un suo fratello e dopo tanti anni si erano ricongiunti qui a Quiliano. Il fratello Giovanni, la cognata Gemma e una figlia ormai grande Lucina. Era il 1934 anno della mia nascita. Dopo tante traversie, la guerra e la miseria e tanti figli da crescere un triste destino si è accanito contro questa famiglia. Il fratello di mia mamma era rimasto coinvolto in un incidente ed era deceduto a soli 21 anni . La nonna Gina per il grande dolore per quell’adorato figlio e una brutta polmonite a quei tempi non curabile, non era sopravvissuta, a soli cinquantasei anni è morta lasciando la sua famiglia incredula e sgomenta di tante sventure.

Quando e dove sei nata? 1934

Nata a Quiliano, in contrada Quilianetto, in un antico nucleo di case contadine, gente operosa dall’alba al tramonto, sempre disposta a darsi una mano gli uni con gli altri in caso di bisogno. Coltivando quelle fasce strette e scoscese, in questa terra povera della Liguria con fatica e sudore per mantenere quelle famiglie numerose.

GIOCHI DI BIMBI E PORTE APERTE

Il mio ricordo va a quell’aia di terra battuta con tanti bambini di tutte le età a giocare assieme e con un malinconico rimpianto di quel tempo lontano mi rivedo a giocare coi giochi di fantasia, a mosca cieca, a girotondo, dandosi la mano, a nascondino sempre con l’orecchio teso a sentire se l’amichetta gridava ti ho visto snidandoti dal tuo nascondino. I più grandicelli guardavano i più piccoli imparando anche a socializzare. Le porte delle case erano sempre aperte per noi bambini, la casa di ognuno di noi era la casa di tutti.

 

LE VACANZE DA BAMBINA

 

“una volta all’anno mia mamma ci portava in pellegrinaggio al Santuario della Misericordia di Savona in processione a piedi, avevo 8-9 anni, 4 ore di cammino.

 

Io piccolina, sentivo parlare gli “ansiani” fra di loro delle famiglie antiche. I miei ricordi sono approssimativi e sfocati. I nonni in casa tra di loro parlavano, “U Gin du Juan”, gente emigrata in America e poi tornata, del castello di Pomo, allora proprietà dei miei nonni paterni ma anticamente di proprietà di Burdui, antica famiglia di Pomo, forse di razza Borbonica.

IL NATALE, FESTA CON ALTRI SAPORI

1940, avevo sei anni, abitavo in campagna, a Natale per noi bimbi era grande una festa, un grosso ceppo di legno ardeva nel focolare in mezzo alla cucina per terra. Insieme alla fiamma del fuoco ardeva anche quella dell’amore, della mia famiglia. Sotto l’albero di Natale un cestino con dentro un po’ di castagne, dei fichi secchi, pochi mandarini, qualche caramella. Fuori c’era la neve con le impronte delle zampette dei pettirossi infreddoliti in cerca di “bricciole”. Tutto era tanto festoso e bello, quella gioia mi è rimasta impressa nell’inconscio, di quella piccola bambina. La gioia vera del Natale era pace e serenità per tutti, noi grandi e piccoli, una pace interiore. Adesso spero che il Natale non sia più una data sul calendario e che il vero spirito di questa festa cristiana alberghi dentro di noi dandoci pace e buon senso per la vita. Forse questo nostro mondo potrebbe avere qualche “speransa” di essere migliore.

LA SCUOLA E IL PIACERE DI LEGGERE

La quarta elementare, anno 1943. Si andava a scuola, però all’andata si consegnava il latte e al ritorno si ritiravano le bottiglie…

Le lezioni iniziavano alle 8, le ore di lezione erano 5, sia andava a scuola il sabato. Le mie materie preferite erano italiano, storia e geografia.

Ricordi il nome della tua maestra? Bonfiglio Rosina da Savona dalla prima elementare alla quinta.

1940-1945 a me è sempre piaciuto tanto leggere ma io le elementari le ho fatte dal 1940 al 1945 in tempo di guerra, libri a casa mia non ce ne sono mai stati. Però al mattino quando andavo a scuola a piedi, lontano, due km da casa mia mamma nella cartella in più dei quaderni metteva due bottiglie di latte di mucca che dovevo consegnare a due famiglie nobili, giunta in paese e poi ritirarle finita la scuola per riportarle a casa. Queste brave signore nobili molto ansiane in quei saloni dove entravo per consegnare le bottiglie avevano antiche librerie con tanti libri che io guardavo sempre in silensio ma che mi attraevano tanto. Queste brave signore avranno capito che mi piaceva leggere , mi hanno chiesto se ne volevo qualcuno da leggere, purché li riportassi indietro me li imprestavano. Così si è instaurata tra noi una bella intesa.

La mia cartella era fatta da un pezzo di stoffa usata, quando scendevo lungo il tragitto dovevo cercare nel bosco un po’ di pigne per accendere la stufa della scuola. Nelle ore di scuola se fischiava l’allarme le maestre ci portavano nel rifugio, poi aspettare che fischiava allarme e che gli aerei che bombardavano si erano allontanati. Al ritorno a casa tutti i bambini del mio quartiere assieme lungo la strada fiancheggiata dai muretti cercavamo le radici di un’erba che noi chiamavamo “Rampusci” per rosicchiare, avevamo fame, non cerano la focaccia e le merendine da portarsi a scuola per l’ora di ricreazione.

Quanti bambini eravate nella tua classe? 31

Ti ricordi il nome del tuo compagno di banco? Belfiore Franco

Quale era il tuo sogno da ragazza? Studiare ma per me era impossibile, cera la guerra, non cerano le corriere per arrivare a Savona.

FINE PRIMA PUNTATA

Rosa Bonello a lezioni di cucito: era il 1954

Nella foto di copertina la Scuola di taglio e cucito
Asilo 1954 Quiliano
Le partecipanti: le suore Battistina e Teodorina, suor Albina
Bice Peluffo, Rosa Bonello, Luisina Bonello, Paolina Gariglio, Angela Cerro, Racco Maria, Rina Brondo, Liliana Genta, Rosa Scarrone, Ermida Dodino, Anna Patrone, Iosanna Turri e la maestra di taglio

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