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GIACOMO MATTEOTTI

ANDREA OLIVERI Lo chiamavano ‘Tempesta’ per il suo carattere battagliero ed intransigente, ma era anche noto come il ‘Capo dei lavoratori’ quando difendeva come avvocato i braccianti agricoli del suo paese: un uomo libero, Giacomo Matteotti, protagonista attivo del suo tempo, i primi anni del Novecento, quando ancora la politica era una missione da portare […]

ANDREA OLIVERI

Lo chiamavano ‘Tempesta’ per il suo carattere battagliero ed intransigente, ma era anche noto come il ‘Capo dei lavoratori’ quando difendeva come avvocato i braccianti agricoli del suo paese: un uomo libero, Giacomo Matteotti, protagonista attivo del suo tempo, i primi anni del Novecento, quando ancora la politica era una missione da portare avanti per conto della gente, in nome di principi ideali e morali e sganciata da logiche di potere e denaro. Così fece dal momento in cui entrò in Parlamento, nel 1919, coi socialisti: in pochi anni intervenne 106 volte in Aula, preparando i suoi discorsi meticolosamente dopo ore di studio nella Biblioteca della Camera. Si scagliò con coraggio per primo contro il movimento fascista pubblicando, nel 1921, una famosa inchiesta in cui si denunciavano le violenze delle squadre d’azione durante le elezioni di quell’anno. Dopo aver promosso nel 1922 la costituzione del Partito socialista unitario, divenendone segretario nazionale, tre anni dopo, il 30 maggio, Matteotti prese la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni del 1924, denunciando le violenze, i brogli e gli abusi commessi dai fascisti. Al termine, disse ai compagni di partito: “Io, il mio discorso l’ho fatto, ora preparatevi a farmi l’elogio funebre. Il 10 giugno seguente, intorno alle ore 16.15, Matteotti uscì di casa per dirigersi verso Montecitorio: quel giorno avrebbe dovuto presentare un nuovo discorso alla Camera in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti il grave caso di corruzione esercitato dalla compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil nei confronti di re Vittorio Emanuele III, di Mussolini e di alcuni gerarchi fascisti a lui vicini. Sul lungotevere lo stavano aspettando, su una Lancia Lambda scura, cinque uomini della polizia politica agli ordini del Duce, che lo assalirono. Inizialmente Matteotti riuscì a divincolarsi, ma venne stordito con un pugno al volto e caricato forzatamente nell’auto. All’interno scoppiò una rissa e il parlamentare social-unitario venne accoltellato con due fendenti sotto l’ascella e al torace; la morte sopraggiunse dopo diverse ore d’agonia. Gli assassini raggiunsero la Macchia della Quartarella, un bosco di Riano a 25 km da Roma, dove seppellirono il cadavere. Verrà ritrovato circa due mesi dopo. Il 3 gennaio 1925 Mussolini si assumerà pubblicamente la “responsabilità politica, morale e storica” dell’accaduto. Di ben altro livello morale il testamento di Matteotti: «Uccidete pure me – aveva detto – ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai».

Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, Rovigo, 1885 – Roma, 1924)

 

FONTI:

www.wikipedia.org

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