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TECCIO DEL TERSÈ, DOVE TUTTO EBBE INIZIO

ANDREA OLIVERI Non molto distante da Roviasca, nel comune di Quiliano, dentro a un fitto bosco di castagni e lungo il sentiero campestre che fiancheggia il torrente Trexenda, sorgeva una modesta costruzione contadina, composta di muri a secco in pietra, adibita per anni come ricovero per boscaioli e carbonai e come essiccatoio per castagne. Era […]

ANDREA OLIVERI

Non molto distante da Roviasca, nel comune di Quiliano, dentro a un fitto bosco di castagni e lungo il sentiero campestre che fiancheggia il torrente Trexenda, sorgeva una modesta costruzione contadina, composta di muri a secco in pietra, adibita per anni come ricovero per boscaioli e carbonai e come essiccatoio per castagne. Era – ed é ancora – il Teccio del Tersé, la prima base garibaldina della Resistenza.
Non più ampio di 16 metri quadrati, l’edificio fu riadattato e trasformato in rifugio nel novembre 1943 da Gino De Marco, il partigiano ‘Ernesto’, uno tra i primi a salire in montagna all’8 di settembre.
Quel giorno, come altri a Savona e a Vado Ligure, ‘Ernesto’ era accorso all’Autocentro di Legino, vicino a Savona, per prelevare ogni genere di armi, con l’idea di nasconderle in casa di parenti e conoscenti nell’entroterra.
La notizia era però trapelata al Comando dei Carabinieri e dopo qualche giorno la sua casa fu visitata da uomini in divisa: “Ernesto”, 33 anni, ebbe solo il tempo di salutare la moglie e si diede alla macchia, avventurandosi in fretta sulle alture di Legino. Qui incontrò presto altri compagni di lotta: Antonio ‘Rodi’ Carai, 53 anni, Francesco ‘Checco’ Calcagno di 26 e Bruno ‘Leone’ Pianezzola di 32, a cui si aggiunsero Vincenzo ‘Pippo’ Pes, 23 anni, Giorgio ‘Fernando’ Preteni, 19, Aldo Cailani, 31 e il diciottenne Sergio ‘Gin’ Leti, figlio dell’eroina antifascista Clelia Corradini.
Si era così formato il primo nucleo di volontari combattenti, provenienti da luoghi diversi ma uniti dal comune desiderio di giustizia e libertà. Insofferenti alle ingiustizie operate dai fascisti e desiderosi di vivere in un mondo più libero e democratico, alcuni di questi erano ragazzi che avevano rifiutato di combattere sotto la Repubblica Sociale, altri erano fuggiti in montagna per prepararsi alla guerriglia con lo scopo di liberare l’Italia dal dominio nazifascista e costruire la democrazia. Il loro compito principale era la raccolta di armi, viveri e informazioni da passare ai partigiani della Valbormida. Il Teccio fu scelto come base per la sua strategica posizione, nascosto nel bosco poco distante dalla zona delle Tagliate e del Monte Alto, ma nello stesso tempo vicino al paese: gli otto ribelli vi trascorreranno più di un mese, fra grandi difficoltà quali la mancanza di cibo, il freddo invernale e la paura di essere scoperti. Al Tersé la vita quotidiana non era certo facile, ma questo non impediva agli occupanti di instaurare un’atmosfera amichevole e serena; c’erano orari precisi da rispettare e al suo interno si alternavano esercitazioni militari, educazione politica, turni di servizio e di guardia. Il gruppo iniziò a effettuare numerose incursioni nella zona di Vado Ligure volte al recupero di armi che venivano poi nascoste nei tronchi cavi degli alberi o in una grotta vicina; presto anche la popolazione si accorse dei resistenti e prese parte alla causa procurando loro cibo come patate e castagne, alimenti come farina e donando i prodotti dei loro orti. Fu proprio uno di questi contadini a metterli in guardia, domenica 19 dicembre ’43: un gruppo di fascisti e tedeschi si stava aggirando nella zona. I partigiani ebbero appena il tempo di imbracciare i moschetti che furono accerchiati da nazisti, bersaglieri, carabinieri, camicie nere e squadra politica della Questura. In 8 contro 100, i partigiani vennero presto sopraffatti e Francesco Calcagno venne catturato, mentre i compagni attesero immobili nascosti nel fogliame che calasse la notte per darsi alla fuga. Il partigiano ‘Checco’, fatto prigioniero, fu portato a Savona e verrà fucilato il 27 dicembre dello stesso anno al Forte della Madonna degli Angeli, per rappresaglia ad un attentato contro i nazisti; i compagni superstiti, si unirono ad altri gruppi di Resistenza della zona Montenotte e Bormida e fondarono, poco dopo, il primo vero distaccamento partigiano, intitolandolo proprio al giovane e generoso amico Francesco Calcagno. Dopo quel tragico rastrellamento, l’antico seccatoio in cui le castagne fresche venivano trasformate in un prodotto facilmente immagazzinabile e a lunga conservazione cessò la sua funzione di rifugio permanente, venendo utilizzato soltanto come luogo di incontro e di transito per i partigiani, ma alla fine della guerra diverrà il simbolo della storia della Resistenza Savonese, il luogo dove tutto ebbe inizio.
Perciò, nel 1990 verrà completamente ristrutturato grazie all’intervento del Comune di Quiliano e all’opera dei soci ANPI di Valleggia, Quiliano e Vado Ligure e inaugurato, alla presenza dei reduci Leti, Preteni e Pianezzola come rifugio aperto sia agli amanti della natura che a quelli della Libertà, per chi vuole fermarsi a riflettere sull’incredibile storia tessuta da pochi uomini che hanno sofferto e lottato per far trionfare nel Paese la democrazia. Il Teccio del Tersé resiste ancora oggi a testimoniare il loro sacrificio.

 

FONTI:

G. Patrone, Andrea Picasso, un personaggio quilianese: da partigiano a sindaco (Coop. Tipograf, Savona, 2019)

A. Lunardon, La resistenza vadese (Marco Sabatelli Editore, 2005)

N. De Marco, M. Calvo, S. Istello, Il teccio del Tersé (A.N.P.I, Coop Tipograf, 1990)

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