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IL PRATO DI LAURA (18)

 SILENE, NUTRE E CURA Erba cara  e dedicata agli dei, è prediletta dai bambini per i giochi, ottima in cucina e come medicamento, ma da secoli è utilizzata contro l’invecchiamento. LAURA BRATTEL   NOMI COMUNI: silene, silene rigonfia, strigoli o stridoli, bubbolini (e varianti regionali). NOME SCIENTIFICO: Silene rigonfia NOME DIALETTALE QUILIANESE: s-cioppetti FAMIGLIA: Caryophyllaceae […]

 SILENE, NUTRE E CURA

Erba cara  e dedicata agli dei, è prediletta dai bambini per i giochi, ottima in cucina e come medicamento, ma da secoli è utilizzata contro l’invecchiamento.

LAURA BRATTEL

 

NOMI COMUNI: silene, silene rigonfia, strigoli o stridoli, bubbolini (e varianti regionali).

NOME SCIENTIFICO: Silene rigonfia

NOME DIALETTALE QUILIANESE: s-cioppetti

FAMIGLIA: Caryophyllaceae

DESCRIZIONE DELLA SPECIE

Pianta erbacea perenne con gemme situate alla superficie del suolo. Alla fine dell’inverno o all’inizio della primavera getta germogli con foglie lineari lanceolate, di un colore verde intenso dai riflessi bluastri o argentei.

Nel corso della primavera i germogli si evolvono in steli che possono raggiungere l’altezza di 30-50 cm e portano alla sommità fiori penduli disposti a pannocchia, piuttosto distanziati tra di loro.

Stelo e foglie sono completamente glabri, cioè privi di peli.

I fiori presentano un calice a forma di palloncino di colore verde pallido o rosa, dal quale fuoriescono 5 petali generalmente bianchi o con lievi sfumature rosate.

Il frutto è una capsula globosa che presenta una corona dentellata alla sommità e che contiene numerosi semi.

HABITAT

La silene è comunemente diffusa ovunque nel nostro Paese e altrove, vegeta di preferenza nei prati e ai bordi delle strade, ma possiamo trovarla anche in boschi e arbusteti. Ama in particolare i terreni azotati, quindi cresce molto bene anche in zone ruderali o antropizzate. Nei campi coltivati può diventare specie infestante.

PROPRIETÀ OFFICINALI

Anche la Silene vulgaris, come le varie specie che compongono il nostro mazzolino di erbe spontanee commestibili, il prebuggiùn, è da considerare un alimento-medicamento.

Ricca di vitamine e sali minerali, contiene altresì importanti sostanze antiossidanti, quali composti polifenolici in grado di contrastare l’azione dei radicali liberi e prevenire l’invecchiamento precoce e malattie degenerative.

Ha inoltre proprietà diuretiche, utili per una disintossicazione generale dell’organismo e del fegato in particolare. Il suo consumo regolare, specialmente a crudo, svolge azione emolliente su tutti i tessuti e mantiene la pelle elastica e luminosa.

Infine possiede anche una blanda efficacia lassativa.

 

Diversi aspetti e diverse fasi della fioritura dei “bubbolini”, i tipici fiori della Silene vulgaris.

CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE

Chi non ha colto questi buffi calici, durante l’infanzia, tenendone l’imboccatura accuratamente stretta tra le dita, per farli poi sonoramente scoppiare sulle mani o addosso ai compagni di gioco? Il nome dialettale affidato a quest’erba nella nostra vallata quilianese si riferisce proprio a questa curiosa caratteristica: “s-cioppetti” ovvero scoppietti.

Anche la denominazione strigoli o stridoli fa riferimento ad un rumore: questa volta si tratta di quello stridente che possiamo udire quando si raccolgono i germogli e si sfregano tra le mani. Invece il nome popolare di bubbolini rimanda alla forma rigonfia del calice del fiore.

Molto interessante è il nome scientifico della specie, che richiama la figura mitologica di Sileno (Σιληνός, Silēnós o Σειληνός, Seilēnós). Sileno era il compagno nonché precettore (secondo alcuni padre adottivo) del dio Bacco/Dioniso; era divinità dei boschi, talora raffigurato con orecchie, coda e zoccoli da cavallo, e presiedeva alla sacralità del vino e dell’ubriachezza. In tal senso Sileno è prefigurazione più arcaica e più rustica del suo allievo Dioniso.

Vi sono diversi aspetti del mitico dio boschivo che possiamo riscontrare nella silene.

Innanzitutto l’anziano Sileno aveva un gran ventre tondo e prominente, dovuto alle numerose bevute di vino nonché alle abbondanti libagioni di cui si deliziava, e questo è un richiamo alla forma tonda e rigonfia dei calici floreali.

Inoltre secondo alcuni ci sarebbe anche un riferimento alla schiuma di cui talora il dio si rivestiva, in quanto alcune sottospecie di Silene vulgaris produrrebbero una secrezione vischiosa o schiumosa lungo gli steli (da non confondere con la secrezione provocata dalla sputacchina, un insetto che vive anche su questa specie vegetale, formando nidi di schiuma). Sembra che, a tal proposito, vi possa anche essere stata una confusione e contaminazione con il termine greco “σίαλον” (sialon), che sta per “saliva, sputo”.

Infine Sileno, dio dei boschi e della natura incontaminata, è considerato nemico dell’agricoltura, dei campi coltivati e dei contadini, e allo stesso modo la silene, quale pianta infestante, non fa che rendere la vita difficile ai contadini, i quali devono pazientemente estirparla dai coltivi.

Tuttavia altri autori sono propensi a dare un’altra spiegazione riguardo all’origine della denominazione scientifica, e cioè che tale nome derivi dalla dea greca Selene.

Selene (Σελήνη) era la dea della luna nella mitologia greca. V’erano diverse raffigurazioni della luna per gli antichi Greci: v’era la dea della luna crescente (Artemide), la dea della luna piena (Pandia), la dea della luna calante (Ecate) e la dea della luna nuova (Perseide). Selene, dea titanica il cui nome ha significato di “fulgida, splendente”, rappresentava l’immagine lunare più generale e più arcaica, tanto è vero che alcune leggende la dicono madre di Pandia.

Vediamo perché il suo nome sarebbe stato accostato a quello della nostra specie.

Innanzitutto la silene ha la particolarità di fiorire nottetempo, infatti la sua impollinazione è affidata principalmente a falene, ovvero farfalle notturne, che con la loro lunga proboscide riescono meglio ad arrivare al nettare racchiuso in fondo al fiore. Nello specifico, v’è una falena che vive letteralmente in simbiosi con questo fiore: si tratta della Hadena confusa, una farfalla notturna di colore marmorizzato che bottina esclusivamente questo genere di erbacee, oltre al genere Dianthus (garofani selvatici).

Secondariamente, il fiore richiama l’immagine lunare con la forma tondeggiante del calice e il colore dai riflessi bianco-argentei.

In terzo ed ultimo luogo, anche la silene è legata al mondo tutto femminile della raccolta delle erbe, di cui le donne si occuparono da sempre, così come Selene, la dea-luna, è raffigurazione dell’essenza lunare femminina.

Ed ora, per concludere, vi svelo chi per primo utilizzò questo termine, dandoci modo di porci quesiti sulla sua origine, che probabilmente non riusciremo mai a decifrare del tutto: si tratta ovviamente del nostro amico Teofrasto, il filosofo e botanico greco vissuto nel III secolo a.C. che ci lasciò molti importanti scritti sul mondo della botanica!

UTILIZZI IN CUCINA

I germogli teneri della silene sono ottimi da consumare crudi, per via del loro sapore decisamente dolce e delicato. Questo uso permette di conservarne intatti tutti i principi attivi e le proprietà benefiche.

Se lessati, sono talmente teneri da richiedere solo una rapida scottatura, la qual cosa permette di non depauperarne le virtù officinali e culinarie. Possiamo però anche farli saltare in padella senza previa bollitura: il risultato sarà un’eccellente pietanza ricca di vitamine e sali minerali, estremamente piacevole al palato grazie al suo gusto gentile.

Infine, possiamo usare i germogli di questa verdura selvatica in sostituzione di biete, erbette e spinaci: torte salate, pansotti e ravioli, risotti, gnocchi, minestre, carni ripiene, frittate faranno la gioia di grandi e piccini.

 

 

I germogli primaverili della silene presentano una tipica colorazione verde dai riflessi ora bluastri, ora argentei.

LA RICETTA:

Erba cotta dell’Alto Veneto

(minestra rustica)

Colei che mi insegnò a riconoscere ed usare gli “s-cioppetti” è sempre la mia nonna materna, che mi portava con sé quando andava per le fasce in località Passeggi, nel Quilianese, a tagliare l’erba per portarla ai conigli che lei e mio nonno allevavano. Si divertiva a farmi scoppiare in fronte i calici, e ridevamo entrambe, anche se a volte lo faceva con talmente tanta energia da lasciarmi il segno.

Più tardi mi insegnò a cucinarli.

Ma mentre nonna li usava soprattutto come ripieno per pansotti o ravioli, mio padre, originario dell’Alto Veneto, mi faceva notare che dalle sue parti se ne facevano semplici quanto saporite minestre.

I miei amici bellunesi mi raccontano che quando da loro imperversavano le battaglie che macchiarono di sangue il Piave e i campi attorno ad Asiago, durante la prima guerra mondiale, gli abitanti dei paesini dolomitici raccoglievano le erbe spontanee come quasi unico alimento disponibile, oltre a poche patate e poco latte delle vacche di alpeggio.

C’è un episodio da loro raccontato che mi ha colpita ed impressionata: un giorno una donna anziana era andata a raccogliere erbe spontanee per farne un’erba cotta. Quel giorno aveva cotto solo erba e patate, senza riso, senza lardo e senza latte o burro, come vuole la ricetta tradizionale, ma il cibo era poco e la fame tanta. Mentre mangiava la sua povera minestra arrivò di corsa un soldato austriaco. L’Austriaco non disse una parola, ma aveva lo sguardo famelico del lupo affamato. Strappò la ciotola dalle mani dell’anziana ed iniziò a mangiare l’erba cotta, e le rese la scodella vuota, per correre via subito velocemente e scomparire, lasciando la povera donna senza parole.

La silene è ottima per il consumo a crudo in insalate, grazie al suo sapore dolce e delicato; può essere apprezzata in purezza o mescolata ad altre specie spontanee.

Questa è la ricetta della loro minestra tradizionale.

Ingredienti:

– Erbe selvatiche di campo, tra cui strigoli

– un cipollotto

– una fettina o due di lardo

– due patate

– una manciata di fagioli

– riso quanto basta (calcolare un pugno a testa)

– latte fresco (calcolare un quartino a testa)

– burro d’alpeggio

Procedimento:

Raccogliere, pulire, risciacquare le erbe di campo (strigoli, tarassaco, ortiche, malva, radicchio selvatico, spinacio selvatico di montagna, salvia selvatica, portulaca o porcellana). Tritare il cipollotto e farlo soffriggere con una fettina o due di lardo, quindi aggiungere le verdure spontanee, le patate sbucciate e tagliate a dadini, i fagioli. Coprire con abbondante acqua e portare a bollore. Abbassare la fiamma e lasciare sobbollire a calore moderato per circa un paio d’ore, in modo che verdure e fagioli si disfino parzialmente fino a formare una deliziosa crema. Aggiungere il latte, riportare ad ebollizione, salare e versare il riso. Cuocere per circa 20 minuti rimestando via via la pietanza. Spegnere ed aggiungere il burro d’alpeggio. Al paese dei miei nonni paterni sono soliti abbondare con il burro, ma ciascuno si regoli come meglio crede, secondo le proprie abitudini. Scodellare e gustare. Buon appetito!

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