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NEL PRATO DI LAURA (4)

IL PREBUGGIUN? ARRIVA DAL NEOLITICO L’importanza delle erbe selvatiche e il valore antico e sempre attuale delle erbe commestibili. LAURA BRATTEL   Quegli anni felici dell’infanzia in cui seguivo con gioia mia nonna per i campi, alla ricerca di erbe selvatiche da raccogliere, sono per me un ricordo prezioso. Ma solo in seguito, durante i […]

IL PREBUGGIUN? ARRIVA DAL NEOLITICO

L’importanza delle erbe selvatiche e il valore antico e sempre attuale delle erbe commestibili.

LAURA BRATTEL

 

Quegli anni felici dell’infanzia in cui seguivo con gioia mia nonna per i campi, alla ricerca di erbe selvatiche da raccogliere, sono per me un ricordo prezioso. Ma solo in seguito, durante i miei studi universitari di linguistica storica e durante gli appassionanti studi di botanica da autodidatta, mi sono davvero resa conto dell’importanza di quegli insegnamenti.
Le conoscenze che mi venivano tramandate, infatti, risalivano ad un tempo davvero remoto.

HOMO SAPIENS, VEGETARIANO PER FORZA

La specie Homo sapiens si cibò di vegetali da sempre.
Durante il Paleolitico la dieta umana era prevalentemente vegetariana e frutticola, integrata dalle proteine animali ricavate dalla cacciagione, d’altronde non sempre abbondante. Si trattava di un’economia di raccolta delle specie spontanee che offrivano i loro prodotti: frutti, bacche, erbe. Mentre gli individui di sesso maschile partivano dalle sedi abitative per andare a svolgere le attività di caccia, quelli di sesso femminile restavano presso le loro residenze ad accudire la prole. A queste ultime, dunque, alle femmine dell’Homo sapiens, erano affidate le operazioni di raccolta delle essenze vegetali utili per l’alimentazione, oltre a quelle che via via vennero utilizzate a scopo curativo, o per usi domestici, o per confezionare capi di abbigliamento.

LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE

La competenza femminile nel riconoscere, raccogliere, cucinare, trasformare, utilizzare le varie parti delle piante che componevano l’habitat nel quale vivevano i nostri antenati divenne tale che esse avviarono piano piano un processo evolutivo straordinario, noto con il nome di “rivoluzione agricola”. Furono infatti le donne, verosimilmente, le artefici di quella fase di trasformazione da una società nomade dedita alla caccia e alla raccolta ad una società stanziale dove l’economia prevalente era costituita da agricoltura e allevamento.
Questa fase iniziò grosso modo 10.000 anni fa nei territori dell’attuale Medio Oriente e vide una progressiva espansione su tutti i lembi di terra colonizzati dalla specie umana.
I primi vegetali sfruttati a scopo di coltivazione furono le graminacee, opportunamente selezionate nelle loro varietà migliori.

Caverna delle Arene Candide (Finale Ligure): Macine e macinelli per cereali

IL NONNO DEI QUILIANESI ERA UN CACCIATORE NOMADE

Nelle nostre valli liguri il processo di stanziamento dell’Uomo fu un evento lento e graduale, ancorché documentato da ritrovamenti antichissimi, come nell’Arma delle Manie, sull’altopiano omonimo, in territorio finalese. Durante tale processo vennero comunque conservate le antiche tradizioni di caccia e raccolta.
È documentato il passaggio di gruppi di cacciatori nomadi nella parte alta del territorio quilianese, nella zona attorno a Colla San Giacomo, grazie a ritrovamenti archeologici di strumenti litici ad uso di caccia effettuati in loco. Tali ritrovamenti, risalenti all’ultima fase del Mesolitico, sono attualmente esposti al Museo Archeologico del Finale. Nello stesso museo una tavola esplicativa ci racconta come fosse noto in Liguria l’impiego di cereali e legumi, durante il periodo Neolitico. Tale uso doveva tuttavia essere limitato e, viene ancora spiegato, doveva continuare in modo prevalente l’attività di raccolta delle erbe spontanee usate come verdure per l’alimentazione umana.

Museo Archeologico del Finale: ritrovamenti litici ad uso di caccia presso Colla San Giacomo (ultima fase del Mesolitico)

IL PREBUGGIUN PIACEVA AI FARAONI

Come possiamo constatare, quindi, un alimento come il “prebuggiùn” da noi ha una tradizione riferibile ad epoche arcaiche.
La citazione dell’uso di alcune erbe che compongono il “prebuggiùn” in documenti antichi è ugualmente remota. Per esempio possiamo leggere della raccolta e dell’impiego della cicoria selvatica nel Papiro di Ebers, un rotolo di papiro rinvenuto in Egitto, riferibile al 1550 a.C. circa, che secondo gli studiosi riporta all’epoca della XVIII dinastia egizia, più precisamente al regno di Amenhotep I. Oltre alla cicoria, vi sono riportate numerose altre erbe selvatiche, utilizzate nell’alimentazione e nei trattamenti medici dell’epoca.

UN RIMEDIO CONTRO LE CARESTIE

Anche Plinio il Vecchio, naturalista e uomo politico vissuto nel I secolo d.C., riporta usi alimentari e farmaceutici di numerose di queste specie nel suo famoso trattato “Naturalis historia”, ampiamente ripreso durante il Medioevo e il Rinascimento. Lo stesso dicasi per Galeno, medico greco vissuto a lungo in Italia durante il II secolo d.C.
Della fondamentale importanza di queste erbe spontanee per l’alimentazione umana parlò il naturalista e medico toscano Giovanni Targioni Tozzetti (1712 – 1783), nella sua opera “De alimenti urgentia”, che reca il significativo sottotitolo: “L’Alimurgia o sia modo di rendere meno gravi le carestie, proposto per sollievo de’ poveri”, pubblicata nel 1767. L’opera, scritta in seguito alla terribile carestia che afflisse il nostro Paese nel 1764, si proponeva come un rimedio efficace per ovviare alla mancanza di cibo determinata da situazioni di grave carenza in tempo di guerra o in seguito a cause meteorologiche.
Le specie alimurgiche sono quelle piante, specifica il naturalista toscano, che possono essere definite commestibili in quanto prive di sostanze tossiche o dannose per l’organismo. Tra queste annovera anche le specie che costituiscono il nostro “prebuggiùn”, come il tarassaco, il radicchio selvatico, l’ortica, la cicoria, la piantaggine e molte altre.
Furono alimenti come il “prebuggiùn” a salvare dalla fame le nostre popolazioni in diverse epoche storiche, non da ultimo durante le due atroci guerre mondiali che dilaniarono il nostro Paese nel corso del secolo da poco terminato.

RADICI VERE, ANCHE DELLA NOSTRA STORIA

Snobbate negli anni del boom economico del dopoguerra, per una pretesa condizione di benessere economico che rifuggisse da tutto ciò che era considerato “popolano” nel senso spregiativo del termine, le erbe spontanee commestibili vengono rivalutate ai giorni nostri grazie ad una nuova sensibilità ecologica, rispettosa dell’ambiente e dei ritmi delle stagioni. Nel frattempo molte conoscenze sono andate perdute, e con esse la capacità di riconoscere la variegata gamma di specie utili all’Uomo.
I ritmi frenetici cui il lavoro ci ha costretti, l’asfissiante corsa a riempire di attività le nostre giornate, talora la superficiale attenzione nei confronti di una tradizione millenaria ci hanno privati di un patrimonio inestimabile, che oltre ad essere fonte di cibo è anche presidio culturale delle nostre radici. Eppure mai come ora avremmo il disperato bisogno di avere a disposizione questa straordinaria risorsa che ci mette davanti agli occhi il regno vegetale.

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