Informazione web della Comunità di Quiliano

free wifi quiliano

P.zza Costituzione
Biblioteca

NEL PRATO DI LAURA (9)

ARISTOCRATICA UMILTÀ DEL CACCIALEPRE Cura lo scorbuto, risolve il mal di denti, ma la sua fine eroica è dentro i ravioli. Un’erba che piace ai poeti ed è per questo che la sua storia è tutta da leggere. LAURA BRATTEL   NOMI COMUNI: caccialepre, caccialebbra, grattalingua, latticrepolo, paparastello e altri nomi regionali. NOME SCIENTIFICO: Reichardia […]

ARISTOCRATICA UMILTÀ DEL CACCIALEPRE

Cura lo scorbuto, risolve il mal di denti, ma la sua fine eroica è dentro i ravioli. Un’erba che piace ai poeti ed è per questo che la sua storia è tutta da leggere.

LAURA BRATTEL

 

NOMI COMUNI: caccialepre, caccialebbra, grattalingua, latticrepolo, paparastello e altri nomi regionali.
NOME SCIENTIFICO: Reichardia picroides.
NOME DIALETTALE QUILIANESE: ratalérve.

FAMIGLIA Asteraceae

DESCRIZIONE DELLA SPECIE

Pianta erbacea perenne dalle foglie liscie e glabre, di un color verde pallido virante al glauco. La morfologia delle foglie può essere estremamente variabile: si possono presentare a forma lanceolata, mostrandosi più o meno allungate oppure obovate, possono essere intere o suddivise in lobi più o meno marcati, frastagliate o increspate.
Lo stelo, alto dai 20 ai 40 cm, può essere più o meno ramificato e porta alle sommità fiori gialli composti essenzialmente da petali stretti e lunghi (interamente ligulati) sostenuti da un involucro a brattee stratificate.
Il frutto è un achenio dotato di pappo, cioè di ciuffo di peli bianchi, utile per la disseminazione ad opera del vento.

In questa specie la morfologia foliare può essere estremamente variabile: la foglia può presentarsi di aspetto lanceolato, con margine più o meno dentato, e può essere più o meno incisa, o addirittura lobata

 

Caccialepre (Reichardia picroides): esemplare fiorito, cresciuto dentro un muro

HABITAT

Il caccialepre cresce ovunque nei prati, nei luoghi incolti, nei muri, sul ciglio delle strade, ed è pianta assai comune in tutto l’ambito mediterraneo.

PROPRIETÀ OFFICINALI

Come molte altre specie che compongono il mazzetto di verdure selvatiche spontanee, anche al caccialepre appartengono virtù diuretiche, depurative, rinfrescanti.
Grazie all’alto contenuto di vitamina C è da considerarsi utile a combattere lo scorbuto.
La polpa triturata di foglie fresche può svolgere azione analgesica se applicata su muscoli doloranti (mialgie) o in caso di mal di denti.

CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE

Il nome di genere, Reichardia, è stato dato in onore del medico e botanico tedesco Johann Jakob Reichard (1743 – 1782). Il nome di specie, invece, potrebbe essere tradotto come “simile al genere Picris”, un gruppo di asteracee dal sapore amarognolo. La parola greca “πικρός” (pikròs), infatti, ha significato di “amaro”. Tuttavia, a dispetto del nome, il caccialepre è una pianta dal sapore estremamente dolce, molto gradita ai bambini. Probabilmente l’accostamento è stato fatto in base alle somiglianze morfologiche tra le due specie.
La nomenclatura scientifica scelta inizialmente da Linneo era Scorzonera pichroides, per via della tipica infiorescenza a margherita, comune a questo genere, ma in seguito si preferì considerarlo genere a parte, per le notevoli differenze rispetto alla scorzonera.
Il nome popolare di questa pianta erbacea ha dato luogo a fantasiose storie riguardo la sua etimologia.
Molto semplicemente il termine “caccialepre” dovrebbe riferirsi al fatto che le lepri sarebbero attirate da quest’erba deliziosa. La forma originaria da cui il nome deriva dovrebbe ricalcare quella dialettale, quindi il tipo “ratalérve”. Deriverebbe dal latino “rapto”, il cui significato originario di “trascino via con forza, strappo”, avrebbe assunto un senso figurato di “trascino, attraggo”. Quindi possiamo tradurre come: “erba che attrae le lepri”.
Il termine “caccialebbra” sarebbe invece un meridionalismo, in quanto “lebbra” dovrebbe esssere il plurale neutro di “lebbru”, cioè “lepre”. Il passaggio da “p” a “b” in posizione intervocalica (cioè tra due vocali) o tra vocale e consonante liquida (“r”, “l”), chiamato “sonorizzazione”, è un processo di evoluzione linguistica piuttosto comune in molti dialetti italiani.
Infine, la forma “grattalingua” dovrebbe essere un’evidente alterazione del termine originario, probabilmente dovuta ad una errata comprensione del suo significato. Sarebbe una nomenclatura senza senso, altrimenti, perché né il sapore del caccialepre, né la sua consistenza potrebbero dare origine ad una sensazione che renda possibile una tale definizione.
Per terminare con una citazione letteraria, il caccialepre viene nominato nella raccolta di sonetti “Il Saporetto” di Simone De’ Prodenzani, uomo politico e rimatore di Orvieto, vissuto tra la seconda metà del Trecento e i primi decenni del Quattrocento. Al ritorno da una caccia, i protagonisti di uno dei sonetti si cibano di una “insalatella” composta da “raperonzoli, caccialepre, pimpinella, mentuccia e crispigniuol”, che apre il loro banchetto.

il seme del caccialepre è un achenio dotato di caratteristico pappo (ciuffo di peli), utile per la disseminazione ad opera del vento

 

UTILIZZI IN CUCINA

Tra le verdure selvatiche commestibili il caccialepre è la più ricercata e la più amata, per via del suo gusto dolce e delicato. Non a caso si dice che l’aggiunta di caccialepre al mazzetto di erbe di campo da usare in cucina “aggiusta tutto”, in quanto mitiga il sapore decisamente amaro di certe essenze quali la cicoria, il tarassaco e il boccione maggiore.
Quest’erba può essere consumata cruda in saporite insalate, oppure lessata, ripassata in padella con olio e aglio. Inoltre, ovviamente, rientra a pieno titolo nel misto di verdure spontanee che compongono il ripieno di pansotti e ravioli, il tipico “prebuggiùn” ligure, ma ne possiamo fare anche ottime torte salate, minestre (famosa la “minestra maritata”, ricetta tipica campana), profumate frittate.

LA RICETTA

Ravioli di erbe selvatiche a prevalenza di caccialepre
(ricetta tradizionale della mia famiglia)

Ingredienti:
Per la pasta:
– 3 etti di farina
– 3 uova
– acqua quanto basta
Per il ripieno:
– 4 etti di carne tritata mista (2 hg di manzo e 2 hg di maiale)
– 3 etti di verdure lessate e strizzate (“prebuggiùn”), tra cui mia madre ha sempre prediletto il caccialepre
– 3 uova
– una cipolla
– due manciate di formaggio grattugiato (grana o parmigiano, un tempo si usava il pecorino)
– una presa di sale
– noce moscata
– pangrattato solo se necessario

Si prepara il ripieno: Dopo aver raccolto le verdure selvatiche, lavarle accuratamente, lessarle, strizzarle per bene e tritarle con cura. Far appassire una piccola cipolla tritata finemente in un tegame, con olio extra vergine di oliva taggiasca ligure, quindi aggiungere il trito di carni e far prendere colore. Quando la carne si presenta colorita, aggiungere il trito di verdure selvatiche. Rimescolare per bene, quindi spegnere e lasciar raffreddare.
Porre l’amalgama di carne e verdure in una ciotola ed aggiungere 3 uova e due manciate di formaggio grattugiato. Se il composto dovesse risultare troppo bagnato, si può aggiustare con pangrattato, incorporandolo bene. Aggiungere una presa di sale ed una grattugiata di noce moscata e mescolare, quindi porre in frigo a riposare e preparare la pasta.

La pasta: Porre sulla spianatoia la farina a fontana e scodellarvi in centro le uova (ricordare la proporzione di un uovo per ogni etto di farina). Impastare, aggiungendo acqua quanto basta per ottenere un impasto omogeneo ed elastico.

Stendere la sfoglia ben sottile e porvi sopra il ripieno, prendendolo con un cucchiaino, per dosarne la quantità. Ripiegare la sfoglia di pasta su se stessa, quindi tagliare con una rotella i ravioli.
(Mia nonna otteneva la sfoglia stendendo la pasta con un lungo mattarello, ma mia madre ha sempre usato una macchinetta a rulli per la pasta, oltre ad un contenitore specifico, detto “raviolante”, per appoggiarvi la sfoglia e riempirla: sentitevi liberi di usare il metodo che preferite).

Buttare i ravioli nell’acqua bollente e dopo che emergono alla superficie lasciarli bollire un paio di minuti, prima di ritirarli con una schiumarola. Si possono condire con burro e salvia oppure con ragù.

Di