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SEGNARE IL MALOCCHIO

Pratiche esoteriche, superstizioni, antichi riti. In passato, quando non esistevano medicine per curare numerose malattie, ci si affidava alle “segnature”, un ramo della medicina popolare generalmente conosciuto da donne provenienti dalle zone rurali, anche all’interno della comunità quilianese. Si segnavano i dolori e le malattie del corpo, ma anche dell’anima. Tra queste, il malocchio.   […]

Pratiche esoteriche, superstizioni, antichi riti. In passato, quando non esistevano medicine per curare numerose malattie, ci si affidava alle “segnature”, un ramo della medicina popolare generalmente conosciuto da donne provenienti dalle zone rurali, anche all’interno della comunità quilianese. Si segnavano i dolori e le malattie del corpo, ma anche dell’anima. Tra queste, il malocchio.

 

SABRINA ROSSI

 

 

Gruppo di Salomone, simbolo pagano che rappresenta una stella a cinque punte

Un tempo, le “segnature” risentivano di una forte influenza della religione cattolica e lo si può notare dalle antiche formule che venivano utilizzate nei riti, come le croci, il nome di Dio, Gesù, Maria e vari nomi di santi. La maggior parte dei segnatori attribuiva la guarigione alla fede in Dio, all’intervento divino.

In realtà, oltre ad alcuni elementi cristiani erano presenti anche elementi del paganesimo, come il gruppo di Salomone, ossia la stella a cinque punte. Una minoranza di segnatori, invece, sosteneva che la guarigione non c’entrasse con la religione, le pratiche potevano essere eseguite in un giorno qualsiasi, oppure tutto dipendeva dalle fasi lunari.

UNA CREDENZA INIZIATA CON I ROMANI

Raffigurazione del malocchio al tempo dei Romani

Oggi, per i lettori di Quilianonline, affrontiamo una di queste segnature che in passato venivano praticate: il malocchio, “l’occhio che causa il male”, ossia la capacità, anche inconsapevole, di generare eventi malefici con il semplice sguardo a un’altra persona.

Le sue origini derivano da una tradizione popolare molto antica; infatti, i Romani furono un popolo molto religioso e superstizioso, due culti che potevano andare d’accordo. Plinio il Vecchio scriveva: “Secondo molti autori le formule hanno la facoltà di cambiare il corso di grandi avvenimenti stabiliti dal fato ed annunciati dai presagi”. Egli stesso affermava la presenza del “fascinus”, ovvero del malocchio, e per proteggersi gli antichi Romani utilizzavano amuleti, lucerne a forma di organo maschile.

Insomma, un incantesimo certamente negativo che si riteneva venisse trasmesso con parole, gesti particolari o semplicemente con lo sguardo. Il malocchio, secondo la tradizione popolare, poteva poi causare effetti negativi sulla persona colpita, come insuccessi nella vita affettiva, professionale, economica, ma anche effetti fisici come mal di testa, nervosismo, depressione, irritabilità, nausea.

COME SEGNARE IL MALOCCHIO

Se il soggetto era colpito dal malocchio le gocce di olio si allargavano sulla superficie dell’acqua

Ma come si segnava? La procedura più diffusa e più utilizzata dagli antichi guaritori era il rito del piatto con l’olio. Poteva essere compiuto in vari modi, a seconda della propria tradizione familiare e della propria conoscenza, ma una pratica ligure era conosciuta come “sperlengöà”.

La persona colpita dal malocchio doveva rimanere seduta su una sedia e in silenzio, mentre il segnatore riempiva un piatto fondo con dell’acqua e lo si posava sulla testa del presunto “fatturato”. Successivamente si versavano alcune gocce d’olio: se la persona era stata colpita dal malocchio, le gocce non mantenevano le tipiche forme di cerchio sull’acqua, ma si spandevano. Allora, il guaritore ricorreva alla formula dello scongiuro:

“Via, via camminnn-a

in t’inn-a pria te confinn-a;

che ti ritornà

quande saia sciuta l’aegua di ma…”

 

Traduzione:

 

“Via, via cammina

in una pietra confinati

e che tu possa tornare

quando sarà asciutta l’acqua del mare…”

 

Secondo la tradizione, l’acqua con l’olio del piatto non veniva gettata via normalmente, ma versata in parti, più o meno uguali, nei quattro angoli della stanza in cui il rito era avvenuto.

UNA TEGOLA PER I CASI PIÙ GRAVI

Poteva succedere, però, che la maledizione fosse così potente da non essere sufficiente il rito del piatto con l’olio. Allora, per chi non la conoscesse, poteva ricorrere a un rituale molto antico: il rito della tegola e della cenere. Erano necessari: una vecchia tegola in cotto, come quella che secondo la tradizione sarebbe servita servì da guanciale a Gesù; un fascio di erbe composto da foglie di arancio e foglioline di rosmarino; piccoli pezzi di palma e foglie di ulivo benedette nella Domenica delle Palme. Il rito consisteva nel posizionare sopra la tegola in cotto le erbe sopra elencate con dei carboncini accesi. Appena si levava il fumo, si recitava il Credo. La persona da guarire doveva tenere le mani incrociate sulla tegola e, a quel punto, il guaritore recitava la preghiera contro il malocchio:

 

“Nostro Signore da Roma veniva,
una palma d’olivo nelle mani teneva,

sopra l’altare la benediceva,
cavava gli occhi a chi male faceva:
con tre pani e con tre pesci
Nostro Signore mi dà abbondanza.”

 

Credenze, superstizioni, formule, riti che hanno attraversato i secoli e che, anche questi, ci aiutano a capire chi siamo e da dove veniamo.

 

 

Per saperne di più:

 

 

 

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